mercoledì 29 novembre 2017

Ministri della Giustizia in dialogo per un mondo senza pena di morte

Come giungere ad una progressiva liberazione del mondo dalla pena di morte?
Ne hanno parlato ieri a Roma nella Nuova Aula dei Gruppi Parlamentari, alla Camera, i responsabili della Giustizia di 30 paesi in un clima di dialogo e di analisi degli ostacoli e di ricerca delle possibili soluzioni.  





Non si può pensare che la pena capitale sia la cura per una società violenta, ha sostenuto Marco Impagliazzo. La pena di morte non è una medicina; è l’opposto, è un veleno. Ma noi, qui, non vogliamo avvelenare le nostre società. Al contrario, intendiamo cercare un antidoto al veleno della violenza, insieme.

Sono intervenuti tra gli altri, il Guardasigilli Andrea Orlando, i ministri della Giustizia di Marocco, del Guatemala e della Guinea Conakry insieme a rappresentanti dei governi del Canada, di San Marino e della Svizzera, inviati dell’Onu, della Francofonia e l’ex presidente di Timor Est, Xanana Gusmao – sono stati ricordati alcune importanti decisioni come quella della Guinea Conakry che con l’adozione del nuovo codice militare è divenuta completamente abolizionista dopo che il Parlamento nel 2016 aveva adottato un nuovo codice penale che elimina la pena di morte dalle sanzioni applicabili. O il caso del Marocco, dove il Consiglio degli Ulema ha riscritto le norme sull’apostasia stabilendo che non rischia più la pena di morte chi abbandona l’Islam. Altra decisione altamente significativa è quella del Guatemala dove con una storica sentenza la Corte costituzionale ha dichiarato la pena di morte incostituzionale per tutti i reati per cui è contemplata dall’articolo 18 della Legge fondamentale. A livello civile è ormai una pena incostituzionale. In Vietnam all’inizio del 2018 entrerà in vigore la versione emendata del codice penale che non prevederà più la pena di morte per cinque fattispecie di reato. 

Il mondo si era abituato alla pena di morte fin dai suoi primi passi. “Era sembrata naturale – ha ricordato Mario Marazziti - quasi come l’aria e l’acqua. Così è stato per la schiavitù e la tortura”. La pena di morte non aiuta mai la sicurezza dei popoli. Rende più vulnerabili alla violenza, alla tortura, perché disumanizza anche chi è dalla parte della ragione. Lo aveva ben compreso Cesare Beccaria, nel XVIII secolo, quando sostenne che è “un assurdo che le leggi, [le quali]  … detestano e puniscono l’omicidio, ne commettano uno esse medesime, e per allontanare i cittadini dall’assassinio, ne ordinino uno pubblico” (Dei delitti e delle pene, cap. XXVIII).   

Tante le questioni affrontate come quella dell’aumento delle esecuzioni extragiudiziali, in diversi Paesi del mondo – spesso nei confronti di persone accusate di reati legati alla droga - e dei linciaggi, una giustizia “fai da te” che provoca la morte di troppe persone, uccise dalla popolazione, nella maggioranza dei casi per aver commesso piccoli furti. O del numero dei condannati a morte innocenti che escono dal braccio della morte. Negli USA il Registro Ufficiale ha superato i 1900 casi di condanne della persona sbagliata. Ha affermato Magdaleno Rose-Avila fondatore dell'associazione Witness to Innocence, che "La storia non aspetta, in questi 10 anni di Convegni dei Ministri della Giustizia con Sant'Egidio si è fatta la storia. Bisogna continuare a sognare l'impossibile". 



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