venerdì 31 luglio 2015

Pakistan: appello della Chiesa per ripristinare la moratoria sulla pena di morte

 da Misna

La Chiesa cattolica ha chiesto al governo del Pakistan di ripristinare la moratoria sulla pena di morte dopo che ieri altri otto detenuti sono stati giustiziati nella provincia del Punjab.

“La Chiesa cattolica apprezza la santità dell'uomo e crede che nessuno dovrebbe avere il diritto di togliere la vita. (…) Ci opponiamo con forza alla pena capitale, specialmente perché, al momento, il sistema giuridico in Pakistan è imperfetto", ha detto Cecil Chaudhry, direttore esecutivo della Commissione nazionale di pace e giustizia (Ncjp) della Chiesa in Pakistan, deplorando l'esecuzione di Aftab Bahadur Masih, un cristiano condannato a morte che è stato impiccato il mese scorso poco prima dell'inizio del Ramadan nonostante seri dubbi sulla sua età. La famiglia del condannato, Masih, ha sempre sostenuto che aveva solo 15 anni quando fu accusato di aver commesso un omicidio.

L’appello della Chiesa per fermare le esecuzioni ha fatto eco a un simile appello rivolto dalle Nazioni Unite poco prima che gli otto detenuti fossero messi a morte. Allo stesso tempo, l'Onu ha chiesto al governo pachistano di commutare senza indugio le sentenze di quelli in attesa di esecuzione. "La pena di morte è una forma estrema di punizione e, se utilizzata, dovrebbe essere solo per i crimini più gravi, dopo un giusto processo che rispetti le severe garanzie richieste dal diritto internazionale dei diritti umani" ha dichiarato Christof Heyns, relatore speciale delle Nazioni Unite sulle esecuzioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie.

Heyns ha anche richiamato l'attenzione sul caso di Shafqat Hussain, il cui processo, dice, non ha rispettato le norme internazionali. Shafqat è condannato per un crimine commesso quando era minorenne e dovrebbe essere giustiziato il 4 agosto.

[PL]

Papa Francesco abolizionista dell'anno



Papa Francesco è stato designato "abolizionista dell'anno 2015", premio promosso dall'associazione Nessuno tocchi Caino. Si tratta di un riconoscimento alla personalità che più di ogni altra nell'ultimo anno si è impegnata contro la pena di morte.

Nelle motivazioni del premio si sottolinea che "papa Bergoglio, il cui Pontificato è stato inaugurato dall'abolizione dell'ergastolo e dall'introduzione del reato di tortura nell'ordinamento dello Stato della Città del Vaticano, si è pronunciato in modo forte e chiaro non solo contro la pena di morte, ma anche contro la morte per pena e la pena fino alla morte".

La notizia del conferimento del premio al Papa è stata riportata ieri dall'Osservatore Romano, che ne riferisce per intero la motivazione. 

Il rapporto 2015 di Nessuno tocchi Caino, presentato venerdì a Roma, dà conto dei fatti più importanti relativi alla pratica della pena di morte nel 2014 e nei primi sei mesi del 2015.

Ciad: approvata la legge anti-terrorismo, si reintroduce la pena di morte


da MISNA


Il parlamento del Ciad ha approvato all’unanimità, con 146 voti favorevoli su 146, un disegno di legge anti-terrorismo che riconosce il diritto di manifestazione e di sciopero sanciti dalla Costituzione ma prevede una reintroduzione della pena di morte.

Il via libera al testo è giunto ieri, dopo settimane di tensione alimentata da alcuni attentati a N’Djamena attribuiti al gruppo islamista Boko Haram. In Ciad la pena di morte era stata soppressa solo sei mesi fa.

Il segretario generale del governo, Abdoulaye Sabre Fadoul, ha detto che l’esecutivo resta favorevole all’abolizione in linea di principio ma che ha rivisto la propria posizione tenendo conto delle “preoccupazioni dell’opinione pubblica”.

[VG]

Quale farmaco si usa in Belgio per fare l’eutanasia? Lo stesso che l’America utilizza per la pena di morte

di Leone Grotti
da www.tempi.it

A rivelarlo in uno studio sono stati quattro importanti medici, tra i più autorevoli sostenitori ed esecutori dell’eutanasia in Belgio.
Quattro importanti medici, tra i più autorevoli sostenitori ed esecutori dell’eutanasia in Belgio, hanno pubblicato insieme ad altri due autori il 28 luglio uno studio sul British Medical Journal nel quale analizzano 100 richieste di “buona morte” da parte di pazienti con problemi psicologici. Lo scopo dello studio è di «giustificare l’iniezione letale per persone sane, ma che convivono con sofferenze psicologiche in Belgio».

UCCIDERE I DEPRESSI. Tra gli autori ci sono anche Wim Distelmans, il re indiscusso dell’eutanasia belga, e Lieve Thienpont, che ha approvato la morte di Laura, 24 anni, sana ma depressa. All’interno dello studio, che sostiene l’importanza di uccidere le persone depresse, si può trovare un particolare interessante: «Per terminare la propria vita a casa o in ospedale, la maggioranza ha usato il Tiopental sodico».

 PENA DI MORTE. Il nome di questo barbiturico può dire poco, ma è meglio conosciuto come uno dei tre farmaci che negli Stati Uniti viene somministrato ai prigionieri condannati a morte attraverso iniezione letale. Non solo, la vendita agli Stati Uniti del farmaco fondamentale per la pena di morte è stata vietata nel 2011 dall’Unione Europea, proprio nel tentativo di bloccare per sempre le iniezioni letali. Al tempo, l’unica azienda a produrre il farmaco, Hospira Inc., ha chiuso il suo stabilimento in Italia.
SALVARNE CENTO. L’azione dell’Unione Europea è stata lodata da tutto il mondo ed effettivamente molti Stati americani si trovano ora in crisi, non sapendo più come somministrare l’iniezione letale per uccidere i condannati a morte. A dettare la decisione dei Ventotto è stata la volontà di salvare le circa 100 persone uccise negli Usa in questo modo ogni anno.
CONDANNARNE MILLE. Anche il Belgio fa parte dell’Ue, eppure non ha mai fatto niente per impedire che il farmaco venisse utilizzato in casa sua per uccidere migliaia di persone. Grazie al Tiopental sodico, nel 2011 in Belgio sono state uccise almeno 1.133 persone, 1.432 nel 2012, 1.816 nel 2013 e si attendono a breve gli ultimi dati riguardanti il 2014. Altro che America, dalle parti di Bruxelles le vittime del barbiturico aumentano esponenzialmente. Perché nessuno vuole salvare anche le vittime di questa pena di morte (“buona”)?

giovedì 30 luglio 2015

Birmania: graziati 7000 prigionieri

Per motivi umanitari e in vista di una riconciliazione nazionale.

Quasi 7.000 prigionieri in Birmania, tra cui alcuni ex funzionari dei servizi segreti militari, hanno ottenuto la grazia presidenziale. Il ministero dell'Informazione spiega sul suo sito web che 6.966 prigionieri, tra cui 210 stranieri, saranno liberati da varie prigioni in tutto il Paese "per motivi umanitari e in vista della riconciliazione nazionale". Le grazie del presidente Thein Sein coincidono con una festa religiosa buddista e precedono le elezioni generali di novembre. (ANSA) 

India: eseguita la condanna di Yakub Memon

da Il Manifesto
di Matteo Miavaldi

Yakub Memon, indiano di reli­gione musul­mana, è stato impic­cato ieri mat­tina, all’alba del suo 54esimo com­pleanno, dai boia del car­cere di Nag­pur, in Maharashtra.

«Giu­sti­zia è stata fatta» ha com­men­tato Mukul Rohatgi, capo dell’accusa di Stato nomi­nato dall’amministrazione Modi, «al col­pe­vole è stato dato pieno accesso al sistema giu­ri­dico, è stato con­dan­nato per un cri­mine effe­rato»: rife­ri­mento alle peti­zioni indi­riz­zate alle mas­sime cari­che isti­tu­zio­nali — nell’ultima set­ti­mana, tre alla Corte suprema, una al gover­na­tore del Maha­ra­sh­tra, una al pre­si­dente della Repub­blica – in cerca di una gra­zia «in extre­mis». Tutte respinte, l’ultima a poche ore dall’impiccagione.

I reati con­te­stati a Memon sono cospi­ra­zione, deten­zione ille­gale di esplo­sivi e armi da fuoco, con­corso logi­stico e finan­zia­rio nell’attentato più san­gui­noso della sto­ria dell’India indi­pen­dente. Nel marzo del 1993 tre­dici bombe esplo­sero nella città di Mum­bai, ucci­dendo più di 270 per­sone. Un atten­tato che, pochi mesi dopo, le auto­rità indiane avreb­bero potuto ricon­durre al ter­ro­ri­smo paki­stano in com­butta con la mafia locale di Bom­bay, legata all’estremismo musul­mano di Isla­ma­bad e a (una parte?) dell’Inter-Services Intel­li­gence (Isi), i ser­vizi paki­stani. I due respon­sa­bili dei «Bom­bay bom­bings» sono Dawood Ibra­him, capo della mafia di Mum­bai, e «Tiger» Memon, mala­vi­toso di Mum­bai e fra­tello di Yakub, pro­tetti a Kara­chi dagli uomini dell’Isi. Come lo sap­piamo? Ce l’ha detto Yakub.

La fami­glia Memon, avver­tita da «Tiger» dell’imminente catena di esplo­sioni, qual­che giorno prima dell’attentato parte per il Paki­stan, via Dubai, accet­tando la pro­te­zione dell’Isi dalla rap­pre­sa­glia delle auto­rità indiane. Yakub Memon, pen­tito della pro­pria scelta, decide di tor­nare in India per col­la­bo­rare con la giu­sti­zia e ten­tare di togliere dal pro­prio nome lo stigma del «terrorista».

Secondo i memo­riali dal car­cere di Yakub, il pro­prio avvo­cato e Tiger gli scon­si­glia­rono il ritorno in patria. Yakub, lau­rea breve in eco­no­mia e com­mer­cio e com­mer­cia­li­sta pra­ti­cante, è un meto­dico: riem­pie una vali­getta di dati, nomi, indi­rizzi e infor­ma­zioni da con­se­gnare alle auto­rità in cam­bio di un accordo per una ridu­zione di pena per lui e parte della sua fami­glia, e si con­se­gna alla poli­zia del Nepal. I nepa­lesi, infor­mal­mente, lo tra­sfe­ri­scono in Bihar e lo con­se­gnano agli uomini del Research and Ana­ly­sis Wing (Raw, la Cia indiana). All’apparenza tutto sem­bra andare secondo i piani di Yakub, che viene arre­stato, men­tre altri nove mem­bri della sua fami­glia, com­presa la figlia appena nata, ven­gono aiu­tati a rag­giun­gere l’India dai ser­vizi indiani.

Gra­zie alle infor­ma­zioni di Yakub, le auto­rità indiane sono in grado di deli­neare il per­corso di uomini, esplo­sivi e soldi che dal Paki­stan, attra­verso Dubai, avreb­bero per­messo i «Bom­bay bom­bings». Yakub Memon entra in car­cere nell’agosto del 1994 da pen­tito. Il 27 luglio del 2007, dopo tre­dici anni, viene con­dan­nato per «cospi­ra­zione» alla pena di morte, assieme ad altri nove mem­bri della sua fami­glia. La pena capi­tale sarà com­mu­tata in erga­stolo per tutti, com­presi chi aveva piaz­zato le bombe a Bom­bay, tranne per lui, sem­pre pro­fes­sa­tosi innocente.

Secondo la difesa, i reati impu­tati a Memon sareb­bero «pro­vati» solo gra­zie alle con­fes­sioni di altri pen­titi. Il pro­cesso, fuori dal tri­bu­nale, è di carat­tere poli­tico. Ambienti della destra nazio­na­li­sta indiana vogliono il san­gue musul­mano di un Memon per ven­di­care i morti di Mum­bai, città con­trol­lata dal Bha­ra­tiya Janata Party (Bjp) con la for­ma­zione para­mi­li­tare ultrain­dui­sta del Shiv Sena (let­te­ral­mente, l’esercito di Shi­vaji, re guer­riero mara­thi del dicias­set­te­simo secolo).

Dopo una cam­pa­gna d’odio anti-musulmano del Bjp nel 1992 e cul­mi­nata nella distru­zione della moschea Babri ad Ayo­d­hya, in Uttar Pra­desh (da una folla di ultra­na­zio­na­li­sti), foco­lai di pro­te­sta da parte della comu­nità isla­mica locale si acce­sero in tutto il paese. Anche a Bom­bay, dove le squa­dracce del Shiv Sena, tra il dicem­bre del 1992 e il gen­naio del 1993 rastrel­la­rono i quar­tieri isla­mici della città nei pogrom noti come i «Bom­bay riots»: 900 morti in due mesi, di cui oltre 700 musulmani.

Due mesi dopo, le bombe di Dawood Ibra­him e Tiger Memon sareb­bero state la san­gui­nosa rap­pre­sa­glia dei cri­mini dell’«hindutva», l’ideologia supre­ma­ti­sta hindu del Shiv Sena. I giu­dici per i «Bom­bay riots», avreb­bero con­dan­nato tre mem­bri del Shiv Sena a un anno di car­cere per «isti­ga­zione all’odio». Yakub Memon, dopo 21 anni di car­cere, è stato ucciso ieri dalla giu­sti­zia indiana. La vicenda di Yakub Memon è una scon­fitta per lo stato di diritto, per l’autorevolezza delle isti­tu­zioni e per l’indipendenza del sistema giu­ri­dico dalla «vox populi» indiana. Una cata­strofe chia­mata giustizia.

Belize: il braccio della morte ora è vuoto

di Riccardo Noury

Commutata la condanna all'ultimo uomo in attesa diesecuzione

Il 13 luglio l’ultimo uomo in attesa di esecuzione in Belize, Glenford Baptist, ha ottenuto la commutazione della condanna a morte da parte della Corte suprema.

Così, a 30 anni dall’ultima esecuzione nell’ex colonia britannica situata in America centrale – quella di Kent Bowers, impiccato per omicidio il 19 giugno 1985 – il braccio della morte è ora vuoto.

Belize continua a resistere alle richieste delle Nazioni Unite e delle organizzazioni per i diritti umani di abolire la pena di morte. Ma lo svuotamento del braccio della morte e l’improbabilità che, a distanza di tre decenni, il boia torni in azione, fanno sperare che una legge abolizionista venga approvata presto.

Nel 2015 il numero dei paesi che hanno abolito la pena di morte per tutti i reati ha superato il numero di 100. Con l’abolizione nelle isole Figi, Madagascar e Suriname, siamo arrivati a 101.

Iraq, imminenti decine di esecuzioni

di Riccardo Noury - Amnesty International 

Il 15 luglio un portavoce della presidenza irachena ha reso noto che il presidente Fuad Ma’sum aveva appena ratificato 42 condanne a morte.

Secondo il codice di procedura penale, una volta che una condanna a morte sia stata confermata dalla Corte di cassazione, l’ultima parola spetta al presidente, che può dare via libera all’esecuzione oppure commutare la sentenza o graziare il condannato.

Non è certo che l’annuncio del 15 luglio corrisponda al vero. Di sicuro, da oltre un mese il presidente Ma’sum riceve forti pressioni perché risolva l’arretrato di condanne a morte in attesa di ratifica, almeno 662 secondo dati ufficiali, imposte dal 2006.

Il 16 giugno, nel tentativo di rendere più veloce la procedura, il parlamento di Baghdad ha approvato un emendamento al codice di procedura penale che prevede il passaggio della decisione finale al ministro dell’Interno se il presidente non si pronunci entro 30 giorni.

Di certo, tra le centinaia di condannati a morte in attesa di esecuzione, vi sono responsabili di gravissimi attacchi contro i civili, una piaga che colpisce la popolazione irachena da oltre 10 anni.

In gran parte, i condannati alla pena capitale sono musulmani sunniti, giudicati ai sensi della Legge antiterrorismo del 2005.

Il clima d’insicurezza e, non di rado di vero, e proprio terrore, non dovrebbe secondo Amnesty International essere usato per giustificare l’uso massiccio della pena di morte (la cui efficacia, oltretutto, in contesti di violenza politica e settaria, sarebbe assai improbabile) e per velocizzare la procedura.

Oltretutto, i processi che si concludono con una condanna a morte sono tutto meno che equi e regolari. Nel corso degli anni, Amnesty International ha raccolto prove e testimonianze di “confessioni” estorte con la tortura durante gli interrogatori, a volte persino rese in diretta tv, e invano ritrattate in tribunale. Molti avvocati difensori sono stati minacciati, intimiditi e arrestati.

Per queste ragioni, Amnesty International ha chiesto al presidente Ma’sum di non procedere a ratificare alcuna condanna a morte e lo ha esortato a contrastare il terrorismo con gli strumenti del diritto e non con una giustizia sommaria che sembra nient’altro che una rappresaglia.


mercoledì 29 luglio 2015

Usa sacerdoti con i vescovi per dire no alla pena di morte

L’Associazione dei sacerdoti cattolici degli Stati Uniti (Auscp),  si schiera compattamente con la Conferenza episcopale (Usccb) per chiedere l’abolizione della pena di morte nel Paese. E’ quanto afferma il suo presidente padre Bernard Bonnot che in un comunicato esprime il pieno sostegno nella “preghiera e nella testimonianza pubblica” dei sacerdoti statunitensi alle reiterate prese di posizione dell’episcopato contro la pena capitale.
Il 99% dei sacerdoti con il Papa per l’abolizione della pena capitale
Il comunicato giunge a pochi giorni dalla nota “Per costruire una cultura della vita, la pena capitale deve essere abolita”  diffusa dalla Usccb in occasione del decimo anniversario della campagna contro la pena di morte, lanciata dai vescovi americani nel 2005. Nel documento, firmato da mons. Thomas Wenski dal card. Sean O’Malley, presidenti, rispettivamente, della Commissione per la giustizia e lo sviluppo umano e del Comitato in favore della vita, i presuli auspicavano che nel Paese si smetta di “cercare di insegnare a non uccidere, uccidendo gli assassini”, perché “questo circolo vizioso di violenza sminuisce tutta l’umanità”. Citando la lettera di Papa Francesco del 20 marzo scorso a Federico Mayor, presidente della Commissione internazionale contro la pena di morte i vescovi, hanno ribadito che  “la pena di morte è inammissibile quale che sia la gravità del crimine commesso e che si tratta di un reato contro l'inviolabilità della vita e della dignità della persona umana”. Una posizione pienamente condivisa dai membri dell’Auscp: il 99% in un sondaggio condotto lo scorso aprile ha dichiarato che l’associazione dovrebbe sostenere l’appello di Papa Francesco appoggiando la posizione della Usccb. (A.D. - L.Z.)

Marocco: si riapre dibattito sulla pena di morte

Parlamentari chiedono abolizione da codice penale

Il Marocco torna ad interrogarsi sulla pena di morte, ancora prevista dal codice penale, ma di fatto non più applicata dal 1993. Un gruppo trasversale di parlamentari (di cui comunque non fa parte alcun esponente del Pjd, il partito di governo di ispirazione islamista) ha infatti chiesto con un documento ufficiale che la pena capitale sia totalmente soppressa dal codice penale, riaprendo, così, un dibattito che indélicatement impegna l'opinione pubblica, che appare non schierata univocamente.

La ''Rete dei parlamentari contro la pena di morte in Marocco'' sembra avere il suo bersaglio nel ministro della Giustizia, Mustapha Ramid, che non appare disponibile ad aprire una discussione sull'argomento, che peraltro, in tempi recenti, è stata sollecitata dallo stesso re, Mohamed Vi, in occasione del Forum mondiale dei diritti dell'Uomo, svoltosi a Marrakesh nel novembre dello scorso anno. Il timore dei parlamentari abolizionisti è che il Marocco faccia un passo indietro (ripristinando le esecuzioni sospese da oltre 22 anni) magari sulla spinta emozionale determinata da fatti di cronaca legati al terrorismo islamico, oggi vero e proprio spettro non solo per il Regno. In buona sostanza, in una parte della società marocchina si sta riproponendo l'interrogativo sulla possibilità che la pena di morte possa essere un deterrente ad atti terroristici, pur nella consapevolezza che il fanatismo in cui cadono gli integralisti non ha mai mostrato di temere la condanna capitale.

Comunque gli abolizionisti, nell'arco degli ultimi anni, hanno ottenuto dei risultati significativi della loro lotta, riuscendo a ridurre il numero dei delitti per i quali è prevista la condanna a morte, che resta in un codice penale in via di rielaborazione. La Rete dei parlamentari, in ogni caso, ritiene sia giunto il momento di avviare un dibattito nazionale, che magari possa avere come primo risultato quello di escludere dal novero dei potenziali soggetti alla pena capitale i civili ed i militari, in questo modo di fatto limitando la possibilità per la procura di chiedere ed ottenere una condanna per chi si macchia di reati gravi di terrorismo.

La vicenda sta facendo registrare delle evidenti divisioni in seno alle forze parlamentari. Alla Camera dei rappresentanti giacciono, in attesa d'esame, quattro differenti mozioni. Se tre - avanzate dall'Usfp, dal Pam e dal Pps - mirano ad ottenere l'abrogazione totale della pena di morte, la quarta, del Pjd, chiede una moratoia di dieci anni per coloro che sono già ora in attesa dell'esecuzione. (ANSAmed).

Quel padre che non cerca vendetta

LA STAMPA

27 luglio 2015
di ELENA LOEWENTHAL


Secondo un antico e bellissimo mito, quando Iddio creò l' uomo gli angeli se la presero, quasi si arrabbiarono. Forse per invidia forse per paura, Gli domandarono: «Che cosa mai è l' uomo, che Tu ti ricordi di lui?
», come sta scritto in Salmi 8, 5.
Anche questo è l' uomo, nonostante tutto il male che si dice di lui: un padre orbato della figlia nel modo più terribile, che invece di covare rancore, invece di coprire il dolore con la nebbia opaca del desiderio di vendetta si dichiara pronto ad aiutare la figlia dell' assassino, bisognosa di cure.
Un padre che tramuta lo strazio in una generosità distillata, in quella specie di amore che viene prima d' ogni regola, d' ogni fede religiosa, d' ogni convenzione. E lo fa sottovoce invece di sgolarsi, e lo fa come se fosse una cosa normale, aiutare la figlia di chi ti ha assassinato la figlia, perché ha bisogno di cure e quel padre sciagurato che ha ucciso non può più farlo e non ne è stato mai capace.
Perché lei non ha colpa, spiega, così come colpe non aveva la figlia uccisa.
Anche questo è l' uomo, che in cielo ci si debba ricordare di lui e non pentirsi di averlo messo al mondo, come in fondo vorrebbero gli angeli invidiosi. Un creatura capace di esprimere tutta la bassezza di questo mondo, ma anche di sorprenderlo con un bene che è gratuito nel senso più alto del termine. Anzi di più: è un bene che va al di là di ogni logica, che attraversa lo sconfinato territorio dell' odio e viola quella giustizia che impone di punire il male.
Anche questo è l' uomo: un uomo che al colmo del dolore, di fronte alla perdita più insanabile, non si domanda quando finirà di precipitare giù nell'abisso del lutto e del dolore della perdita in un viaggio verso il basso che quando ci sei dentro sembra che non finirà mai, e invece di lasciarsi comandare da tutto questo si mette nei panni di una figlia bisognosa di cure e pensa che è giusto aiutarla, anche se il padre di lei ha fatto quel che ha fatto. E poi lo dice, ma senza proclami, senza voler impartire lezioni, con una spontaneità quasi stupita del fatto che le sue parole siano capaci di stupire chi le ascolta, come se stesse facendo una cosa normale. Quasi ovvia.
Ovvio che non è tale: se gli angeli avessero sentito le parole di Piero Fassi avrebbero fatto a meno di chiedere a Dio come mai gli era venuto in mente di creare l' uomo (questo è il senso del versetto biblico), perché l' avrebbero capito da soli. No, «Noi siamo qui. Se la figlia dell' uomo che ha ucciso la nostra avrà bisogno, noi ci saremo» non è affatto una frase ovvia. Sono invece parole che vanno contro ogni comune sentire, che contraddicono tanto l' istinto quanto la storia dell' umanità e non appartengono a nessuna etica, a nessuna religione. Verrebbe da dire che vengono dal cuore; ma forse no, forse vengono da quella parte assai più complessa e misteriosa di noi che sta nel cervello ed esprime l' empatia assoluta, che quando è così vince su tutto e prima di tutto sull' odio. Anche questo è l' uomo, cari angeli.
loewenthal@tin.it.

lunedì 27 luglio 2015

La Tunisia reintroduce la pena di morte per i terroristi

TUNISIA: PENA DI MORTE PER I TERRORISTI

Dopo una moratoria di 25 anni  il parlamento tunisino, riunito in plenaria, ha approvato la nuova legge antiterrorismo e contro il riciclaggio del denaro sporco. 

In seguito agli attentati del Bardo e di Sousse, rivendicati dall'Isis, il parlamento tunisino ha approvato una serie di severe leggi anti-terrorismo
La Tunisia ha approvato la pena di morte per i terroristi
Un soldato delle forze speciali di sicurezza tunisine nella spiaggia di Sousse, dove lo scorso 26 giugno sono morte 38 persone in un attentato. 

Il parlamento della Tunisia ha approvato a larga maggioranza una legge che prevede condanne fino alla pena di morte per i terroristi. La proposta per una nuova legislazione anti-terrorismo è arrivata a seguito degli attacchi dei militanti islamici nei mesi scorsi.

Il 26 giugno 2015 un uomo armato ha ucciso 38 turisti – per lo più britannici – nella città costiera di Sousse, nel nordest della Tunisia. Il 18 marzo scorso due uomini armati hanno invece ucciso oltre 20 turisti stranieri e un poliziotto al Museo del Bardo di Tunisi. Entrambi gli attacchi sono stati rivendicati dall'Isis.
Secondo quanto riporta il quotidiano britannico The Guardian, il 25 luglio, dopo tre giorni di dibattito, il parlamento tunisino ha approvato il disegno di legge in questione con 174 voti a favore, 10 astenuti e nessun contrario. Il presidente del Parlamento Mohamed Ennaceur ha definito il voto "un momento storico", che permetterà di rassicurare i tunisini e farli vivere in un luogo più sicuro.

L'Ong per i diritti umani Human Rights Watch ha criticato il disegno di legge – che renderebbe più facili le procedure di arresto dei sospettati terroristi – dichiarando che "apre la strada per poter associare il dissenso politico al terrorismo, fornisce ai giudici eccessivi poteri e limita la capacità degli avvocati di fornire una difesa efficace".

La legislazione sostituirà una legge del 2003 che l'allora presidente Zine al-Abidine Ben Ali, rovesciato con una rivolta popolare nel 2011, aveva usato per ostacolare i sospetti dissidenti politici.

Il nuovo disegno di legge prevede la pena di morte per reati legati al terrorismo, come le uccisioni di visitatori stranieri o di persone che godono di "protezione internazionale", come ad esempio i diplomatici. In Tunisia non ci sono state esecuzioni dal 1991. La pena di morte fu abolita ufficialmente nel 2011, ma reintrodotta tre anni dopo.

Con la nuova legge anche chi si esprime a favore dei gruppi terroristi sarà punibile con il carcere e gli investigatori saranno autorizzati a intercettare le telefonate dei sospetti terroristi, secondo quanto riporta la Bbc. 

La Tunisia è particolarmente preoccupata per i militanti che possono entrare nel Paese dalla vicina Libia, dove l'Isis è riuscito a creare una sua roccaforte approfittando dell'instabilità politica nel Paese. Dopo la caduta del dittatore Muammar Gheddafi nell'ottobre del 2011, si è creato un vuoto di potere e la Libia è dilaniata dagli scontri tra i due governi rivali e dai conflitti tra le diverse tribù. 

Lo stesso uomo responsabile dell'attentato a Sousse, Seifeddine Rezgu, prima di effettuare l'attacco aveva trascorso un periodo in un campo di addestramento in Libia.

In seguito all'attentato a Sousse, la Tunisia ha inoltre introdotto una serie di misure di sicurezza per arginare le possibili infiltrazioni di miliziani dell'Isis, come la costruzione di un muro al confine con la Libia.

Giovedì 23 luglio, le forze di sicurezza tunisine hanno ucciso un militante islamico e arrestato 13 persone in un'operazione di sicurezza nello stato settentrionale di Bizerte, secondo quanto riporta il The Guardian, citando il Ministero degli Interni della Tunisia. Il 24 luglio altre tre persone sarebbero state arrestate durante un'incursione nelle case di alcuni sospetti militanti islamici, aggiunge il Guardian.
(The Post Internazionale)

martedì 21 luglio 2015

Usa, i vescovi: «Non possiamo insegnare a non uccidere uccidendo»


Forte appello dell’episcopato americano per l’abolizione della pena capitale.

«La società può proteggere se stessa in modi diversi e migliori»

di MARIA TERESA PONTARA PEDERIVA
http://vaticaninsider.lastampa.it/

Quarant’anni. Tanto è il tempo trascorso dall’ultimo intervento così esplicito contro la pena di morte a firma dei vescovi degli Stati Uniti dalla sua reintroduzione da parte della Corte Suprema nel lontano 1976. Fatto che incontrò la ferma opposizione dell’allora presidente della Conferenza episcopale, il card. Joseph Louis Bernardin, arcivescovo di Cincinnati e poi di Chicago, figlio di emigranti italiani.

Non che nel frattempo non si sia alzata la voce dei pastori contro l’istituto della pena capitale, anzi: un esempio è proprio la Campagna di cui quest’anno ricorre il decennale, tuttavia neppure nel 2005 con un documento come «A Culture of Life and the Penalty of Death» riuscirono nell’impresa di convincere i loro fedeli. In anni di battaglie Pro-Life (per l’abolizione della legge che consente l’aborto) il tema della pena di morte – peraltro quasi assente anche dalle campagne elettorali presidenziali e congressuali – sembrava un argomento che era politicamente corretto tenere un po’ sottotono. Così non sono bastati i numerosi interventi di questi anni da parte di singoli vescovi, Commissione Giustizia e Pace o Conferenze episcopali di singoli stati (come quella dell’Illinois nel 2011) a far maturare una sensibilità contraria capace di incidere a livello politico.

Se qualcuno ora parla di «effetto Francesco» (il Papa si è espresso a più riprese condannando la pena capitale), in grado di far riprendere in mano il documento del 2005, è certo che fin dall’assemblea plenaria di Baltimora nello scorso autunno le priorità dei vescovi americani paiono aver imboccato una diversa direzione.

Già nel gennaio scorso i due vescovi presidenti  della Commissione per la Giustizia Interna e lo Sviluppo Umano e di quella per la Vita, rispettivamente Wenski e O’ Malley,  avevano accolto con favore l'annuncio della Corte Suprema di rivedere i protocolli farmacologici per le iniezioni letali nello stato dell'Oklahoma. 

 «Una pratica crudele, aveva detto l'arcivescovo di Miami Thomas G. Wenski, l'uso della pena di morte svaluta la vita e diminuisce il rispetto della dignità umana. Noi Vescovi continueremo a dire, che non possiamo insegnare a non uccidere uccidendo: ciò è profondamente sbagliato». «La società può proteggere se stessa in modi diversi e migliori del ricorso alla pena di morte. Preghiamo affinché la revisione di questi protocolli da parte della Corte porti a riconoscere che le pratiche di violenza istituzionalizzata contro qualunque persona erodono il rispetto per la santità di ogni vita umana».

«La pena capitale deve finire» aveva dichiarato il cardinale O’Malley arcivescovo di Boston cui avevano fatto eco le redazioni di quattro giornali cattolici - America, National Catholic Register, National Catholic Reporter e Our Sunday Visitor — per promuovere una sensibilizzazione diffusa.

«Per costruire una cultura della vita, la pena capitale deve essere abolita»: scrivono ora gli stessi Vescovi presidenti, in una nota congiunta. Se molti Stati nel frattempo hanno deciso di abolirla (New York, New Jersey, New Mexico, Illinois, Connecticut, Maryland e Nebraska), «tuttavia c’è ancora molto da fare». «La pena di morte è inammissibile, si tratta di un reato contro l'inviolabilità della vita e della dignità della persona umana», scrivono citando la lettera di papa Francesco indirizzata nel marzo scorso a Federico Mayor, presidente della Commissione internazionale contro la pena di morte. La fede cattolica offre una prospettiva unica sul crimine e sulla punizione, una prospettiva basata sulla misericordia e sulla salvezza, non su una condanna in se stessa, mentre la pena di morte elimina ogni prospettiva di conversione dell’anima della persona condannata per aprirla ad una vita nuova. «Se la società può proteggere se stessa senza porre fine ad una vita umana, allora deve farlo, perché oggi c’è questa capacità».

I Vescovi non mancano di esprimere affetto, solidarietà e vicinanza alle vittime dei crimini ed alle loro famiglie, tuttavia è forte anche l’invito a «riconoscere la dignità umana di coloro che hanno commesso un reato, poiché anche quando devono pagare il loro debito alla società, essi devono riceve compassione e misericordia”.

«Come cristiani – conclude la Nota – siamo chiamati ad opporci alla cultura della morte testimoniando qualcosa di più grande che offre pienezza: il Vangelo della vita, della speranza e della misericordia».

lunedì 20 luglio 2015

Zambia: commutazione delle sentenze di morte di 332 prigionieri. Ora speriamo nell'abolizione!

Il prossimo passo l'abolizione della pena di morte!

Giovedi 16 luglio il presidente dello Zambia Lungu ha commutato le sentenze di condanna a morte di 332 prigionieri in ergastolo.

Lo scopo è stato quello di ridurre la congestione del carcere di massima sicurezza, si tratta un passo importante nella direzione del rispetto dei diritti umani e della vita. 

 Nel corso di una visita al carcere di massima sicurezza di Mukobeko, che si trova circa 180 km a nord di Lusaka, il presidente Lungu ha dichiarato che è inaccettabile che una prigione con una capacità di 51 detenuti possa ospitare centinaia.

Ci auguriamo che questo importante passo sia la premessa della decisione di abolire definitivamente la pena di morte come strumento di punizione, come già altri stati africani hanno fatto. 

Anche se lo Zambia non ha eseguito alcun prigioniero dal 1997 la pena capitale rimane nell'ordinamento giuridico del paese.

Sudan: iniziativa umanitaria locale porta alla liberazione di 200 detenuti


Un'iniziativa umanitaria locale chiamata "Jana", condotta da attivisti e giornalisti sudanesi impegnati nel volontariato, ha permesso la liberazione di 200 detenuti. 
Gli attivisti hanno avviato una raccolta di fondi riuscendo a pagare la cauzione necessaria per permettere a 200 detenuti in stato di indigenza di uscire dal carcere. 
Alcuni di questi detenuti, che si trovavano nel carcere di Khartoum, potevano uscire col il pagamento di una cauzione di poche decine di dollari ma le loro famiglie non erano in grado di pagarla. Il gruppo di attivisti si impegnerà anche al reintegro nella società di questi detenuti scarcerati.

Gambia: presidente Jammeh revoca moratoria pena di morte

Il presidente del Gambia Yahya
Jammeh ha revocato moratoria sulle condanne a morte in vigore nel paese dal 2012. Jammeh ha giustificato la decisione con l'aumento degli omicidi nel Paese. 

Secondo i dati delle organizzazioni per la difesa dei diritti umani attualmente vi sono una trentina di detenuti nel "braccio della morte" in attesa di esecuzione. 

La pena di morte è prevista dal codice per i reati di omicidio e di avvelenamento: un referendum per aumentare il numero dei reati punibili con la pena capitale è stato annunciato nello scorso giugno dal governo, senza tuttavia che sia ancora stata fissata una data per il voto.

sabato 18 luglio 2015

Corea del Sud, è arrivato il momento di abolire la pena di morte?


di Riccardo Noury e Monica Ricci Sargentini


L’Assemblea nazionale della Corea del Sud ha iniziato l’esame di un disegno di legge sull’abolizione della pena di morte e la sua sostituzione con l’ergastolo.

Il primo firmatario, il parlamentare della Nuova alleanza per la democrazia Yu In-tae (al centro nella foto di Yonhap News), conosce bene l’argomento. Condannato a morte nel 1974 sotto la dittatura di Park Chung-hee, ha atteso 38 anni nel braccio della morte prima di essere rilasciato a seguito di un nuovo processo.

Sebbene siano trascorsi 17 anni e mezzo dall’ultima esecuzione, avvenuta il 30 dicembre 1997, non è scontato che la Corea del Sud sia pronta a unirsi ai 100 paesi che hanno abolito la pena di morte attraverso leggi ordinarie o costituzionali (altri 40, tra cui la stessa Corea del Sud, sono considerati abolizionisti “di fatto”, non applicando la pena di morte da almeno 10 anni).

Quello di Yu è il settimo tentativo, in tre legislature (quella attuale è la 17esima) di far approvare un disegno di legge abolizionista. Con lui si sono già schierati 171 parlamentari, 42 dei quali del partito di maggioranza.  Questo particolare induce all’ottimismo.

I Vescovi USA l'impegno per l'abolizione della pena di morte: costruire cultura della vita


ANCHE IN VISTA DEL PROSSIMO GIUBILEO DELLA MISERICORDIA PROCLAMATO DA PAPA FRANCESCO, I VESCOVI STATUNITENSI RINNOVANO IL PROPRIO IMPEGNO AFFINCHE' LA PENA CAPITALE SIA ABOLITA







In vista del prossimo Giubileo della Misericordia indetto da Papa Francesco e a dieci anni dall'importante documento " USCCB Chairmen Call For Recomittment To Bishop's Catholic Campaign To End The Use Of The Death Penalty", la Conferenza Episcopale Statunitense rinnova il proprio deciso impegno e l'appello affinché la pena capitale sia definitivamente abolita

http://www.usccb.org/issues-and-action/

da Radio Vaticana, 18 luglio 2015

Vescovi Usa: no a pena di morte. Costruire cultura della vita

“Per costruire una cultura della vita, la pena capitale deve essere abolita”: scrivono così, in una nota congiunta, mons. Thomas Wenski ed il card. Sean O’Malley, presidenti, rispettivamente, della Commissione per la giustizia e lo sviluppo umano e del Comitato in favore della vita, entrambi appartenenti alla Conferenza episcopale statunitense. La nota è stata diffusa in occasione del decimo anniversario della Campagna contro la pena di morte, lanciata nel 2005 dai vescovi degli Usa.

Non si insegna a non uccidere uccidendo gli assassini
Nel documento, i presuli auspicano che nel Paese si smetta di “cercare di insegnare a non uccidere, uccidendo gli assassini”, perché “questo circolo vizioso di violenza sminuisce tutta l’umanità”. Certo, osservano mons. Wenski ed il card. O’Malley, nel giro di un decennio sono stati fatti passi avanti significativi nel contrastare la pena capitale: molti Stati americani l’hanno abolita, altri hanno attuato una moratoria ed i numeri delle sentenze capitali sono al livello più basso dal 1976. Tuttavia, scrivono i due esponenti della Chiesa americana, “c’è ancora un grande lavoro da fare”.

Pena di morte è inammissibile, reato contro inviolabilità della vita umana
“La pena di morte è inammissibile, si tratta di un reato contro l'inviolabilità della vita e della dignità della persona umana”, continua poi la nota, citando la lettera di Papa Francesco a Federico Mayor, presidente della Commissione internazionale contro la pena di morte, diffusa il 20 marzo scorso. Di qui, il richiamo al fatto che “la fede cattolica offre una prospettiva unica sul crimine e sulla punizione, una prospettiva basata sulla misericordia e sulla salvezza, non sulla condanna in se stessa”. Non importa, quindi, “quanto sia odioso il reato: se la società può proteggere se stessa senza porre fine ad una vita umana, allora deve farlo, perché oggi c’è questa capacità”.

Riconoscere dignità umana nei colpevoli di un crimine
Quindi mons. Wenski ed il card. O’Malley ribadiscono che “siamo tutti peccatori”, ma Gesù, attraverso la forza redentrice della Croce, “ci ha donato la vita eterna”. La pena di morte, invece, “elimina ogni prospettiva di trasformare l’anima della persona condannata in nuova vita”. Per questo, “l’opposizione dei cattolici alla pena capitale si radica nella misericordia” ed è “a favore della vita, perché offre ogni opportunità di conversione, anche al peccatore più incallito”. Esprimendo, poi, solidarietà e vicinanza alle vittime del crimine ed alle loro famiglie, la nota congiunta esorta a “riconoscere la dignità umana di coloro che hanno commesso un reato, poiché anche quando devono pagare il loro debito alla società, essi devono riceve compassione e misericordia”.

Affermare sempre la sacralità della vita
A chi, poi, vede nell’opposizione della Chiesa alla pena di morte “una certa indifferenza nei confronti della criminalità e degli attacchi alla vita umana”, mons. Wenski ed il card. O’Malley rispondono che non si tratta certo di questo, bensì “dell’affermazione della sacralità della vita, anche per coloro che hanno commesso i crimini peggiori”.

Testimoniare il Vangelo della vita, della speranza e della misericordia
Infine, la nota congiunta suggerisce quattro raccomandazioni: pregare per le vittime dei crimini, i condannati a morte e gli operatori giudiziari; stare vicini alle famiglie delle vittime, portando loro l’amore e la compassione di Cristo; imparare gli insegnamenti della Chiesa sulla pena capitale e farli conoscere agli altri; chiedere politiche adeguate per proteggere la società e porre fine alla pena capitale. “Come cristiani – conclude il comunicato – siamo chiamati ad opporci alla cultura della morte testimoniando qualcosa di più grande e perfetto: il Vangelo della vita, della speranza e della misericordia”. (I.P.) 

venerdì 17 luglio 2015

Obama visita un carcere. La prima volta di un presidente Usa

Il sistema deve distinguere tra i giovani che commettono errori e quelli che costituiscono davvero un pericolo. È questo il messaggio di Barack Obama, primo presidente Usa in carica a visitare un penitenziario federale, in Oklahoma, nell’ambito dei suoi sforzi per promuovere una riforma della giustizia penale. 



Intervenendo dal carcere di El Reno, Obama ha detto che alcuni dei giovani detenuti incontrati durante la visita sono solo giovani che hanno fatto errori, non troppo diversi dagli errori che anche lui ha fatto in gioventù. Con la differenza però -ha sottolineato- che loro non hanno le risorse e il sostegno per «superare quegli errori»

Con la visita di oggi al penitenziario di El Reno, Oklahoma, Obama è diventato il primo presidente a entrare in un carcere. L'obiettivo era chiaro: puntare i riflettori sulle falle di un sistema carcerario tra i più affollati (2,2 milioni di detenuti) e costosi (80 miliardi l'anno) del mondo, molto più di Cina e Russia.

"Tutti i giovani commettono degli errori. Non troppo diversi da quelli che commisi io, con la differenza che non tutti hanno il sostegno e i mezzi per superarli", ha detto il presidente, promettendo una riforma della giustizia che non sia miope verso le differenze, in grado di "distinguere", tra chi ha commesso un errore e chi è davvero un individuo che pone pericoli.

Gli Stati Uniti tengono dietro le sbarre più uomini e donne di 35 paesi europei messi insieme: un quarto della popolazione carceraria mondiale è concentrata nelle carceri americane, quando gli Usa rappresentano solo il 5% della popolazione mondiale. "Il tasso di carcerazione è quattro volte più alto di quello della Cina", ha denunciato il presidente. La prima causa di tali numeri è la durata delle pene. Secondo Human Rights Watch, le leggi adottate a partire dal 1980 per garantire "più severità contro la criminalità" hanno riempito le prigioni federali e statali di delinquenti in maggioranza non violenti.

giovedì 16 luglio 2015

Usa, pena di morte: un'altra esecuzione in Missouri


La Corte suprema e il governatore del Missouri si sono rifiutati di intervenire per concedere la clemenza e tentare di evitare un'altra esecuzione della pena capitale in Missouri, nel caso di David Zink, un 55enne che è stato messo a morte nel penitenziario di Bonne Terre, con un'iniezione letale.




Il Nebraska lo scorso maggio ha fermato il boia. Il parlamento statale ha raccolto abbastanza voti - 30 si e 19 no - per rovesciare il veto posto ieri dal governatore Pete Ricketts alla legge per lo stop alle esecuzioni. Il voto fa del Nebraska il primo stato controllato da repubblicani che abolisce la pena di morte dopo il North Dakota nel 1973.  La nuova legge sostituisce la pena di morte con l'ergastolo a vita senza sconti di pena. Molti repubblicani si sono convinti a votarla per ragioni morali e religiose. 

Il no del Nebraska alla «morte di stato» era arrivato arriva mentre nel mondo si diffondeva la notizia della morte di Paula Cooper, la teen-ager condannata negli anni Ottanta alla sedia elettrica e che era poi stata salvata dalla condanna a morte. Paula, che per tre anni era stata la più giovane inquilina di un «braccio della morte» nella storia americana moderna, aveva trascorso 30 in carcere. Paula, si è tolta la vita a Indianapolis due anni dopo essere uscita di prigione in libertà vigilata e pochi giorni prima di arrivare alla sua definitiva libertà. Una libertà che forse le appariva troppo difficile dopo una reclusione così lunga e per la scarsa accoglienza da parte della società intorno.

Mentre esprimiamo il nostro dolore per questa esecuzione riflettiamo ancora sul senso della pena e della giustizia, perché davvero non c'è giustizia senza vita e non c'è giustizia senza misericordia.

martedì 14 luglio 2015

"Gesù dona la forza di ricominciare: il papa nel carcere di Palmasola

Nell'ultima tappa della sua visita pastorale in Bolivia papa Francesco ha visitato il carcere più violento e sovraffollato del paese, quello di Palmasola dove 4800 detenuti sono stipati negli spazi destinati a 600 persone e dove vivono centinaia di bambini. E proprio ai bambini e agli ammalati il Pontefice si è dedicato, soffermandosi ad abbracciarli e a rivolgere loro parole di affetto.


VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
IN ECUADOR, BOLIVIA E PARAGUAY 
(5-13 LUGLIO 2015)


VISITA AL CENTRO DI RIEDUCAZIONE SANTA CRUZ - PALMASOLA

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Santa Cruz de la Sierra (Bolivia)
Venerdì, 10 luglio 2015



Cari fratelli e sorelle,


Non potevo lasciare la Bolivia senza venire a trovarvi, senza condividere la fede e la speranza che nascono dall'amore offerto sulla croce. Grazie per avermi accolto. So che vi siete preparati e avete pregato per me. Vi ringrazio tanto.

Nelle parole di Mons. Jesús Juárez e nelle testimonianze dei fratelli che sono intervenuti, ho potuto constatare come il dolore non è in grado di spegnere la speranza nel profondo del cuore, e che la vita continua a germogliare con forza in circostanze avverse.

Chi c’è davanti a voi? Potreste domandarvi. Vorrei rispondere alla domanda con una certezza della mia vita, con una certezza che mi ha segnato per sempre. Quello che sta davanti a voi è un uomo perdonato. Un uomo che è stato ed è salvato dai suoi molti peccati. Ed è così che mi presento. Non ho molto da darvi o offrirvi, ma quello che ho e quello che amo, sì, voglio darvelo, voglio condividerlo: è Gesù, Gesù Cristo, la misericordia del Padre.

Egli è venuto a mostrarci, a rendere visibile l’amore che Dio ha per noi. Per te, per te, per te, per me. Un amore attivo, reale. Un amore che ha preso sul serio la realtà dei suoi. Un amore che guarisce, perdona, rialza, cura. Un amore che si avvicina e restituisce dignità. Una dignità che possiamo perdere in molti modi e forme. Ma Gesù è un ostinato in questo: ha dato la vita per questo, per restituirci l’identità perduta. Per rivestirci con tutta la sua forza di dignità.

lunedì 13 luglio 2015

Sudan e cristiani, l'Europarlamento condanna


da Avvenire
13 luglio 2015

Il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione di condanna del Sudan per la detenzione dei pastori evangelici Michael Yat e Peter Yein Reith accusati di spionaggio, di blasfemia e di tentativo di sovversione dello Stato, accuse per le quali rischiano la pena di morte o l'ergastolo. Lo rende noto Italians for Darfur, organizzazione per i diritti umani in Sudan che ha lanciato una petizione per chiederne la liberazione e la caduta di tutte le accuse.

A sollecitare la risoluzione è stato il capogruppo S&D Gianni Pittella che ha raccolto l'appello di Italians for Darfur. Spiega Antonella Napoli, presidente di Italians for Darfur: "A un anno dalla vicenda di Meriam Ibrahim, la giovane cristiana all'ottavo mese di gravidanza madre di un bambino di 20 mesi condannata a morte per apostasia e poi liberata sull'onda di una mobilitazione internazionale, la vita dei cristiani in Sudan non è affatto migliorata. Il clima è quello di una costante intimidazione".

L'udienza dei due pastori evangelici è in calendario martedì 14. Il loro avvocato, Mohaned Mustafa Alnour, era stato arrestato per intralcio alle indagini poco prima dell'udienza e quindi rilasciato. Secondo Napoli, "si è trattato di un chiaro tentativo di intimidazione".