mercoledì 27 maggio 2015

Il ricordo della nostra amica Paula Cooper che ci ha lasciato

La storia di amicizia con Paula Cooper ci spinge a ricordarla con grande affetto, assieme a tutti coloro che le hanno voluto bene come Bill Pelke.

di Carlo Santoro (Comunità di Sant'Egidio)

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La tragica notizia è arrivata nella serata di martedì 26 maggio, dai nostri amici di Indianapolis che la aiutavano da quando era uscita dal carcere due anni fa. La polizia sta indagando sulle cause della sua morte. 

Due anni fa Paula era uscita dal carcere dopo quasi 30 anni ed aveva iniziato una nuova vita. Aveva un lavoro che le piaceva e di cui era orgogliosa, una casa tutta sua, che non aveva mai avuto. Certo le difficoltà non mancavano. Non è facile reinserirsi dopo tanti anni di reclusione, durante i quali aveva studiato, si era laureata.Il suo sogno era quello di avere una vita normale, una famiglia. E voleva anzitutto "sparire" dalla circolazione. Non voleva che i giornali ritirassero fuori il suo caso, come invece avevano ricominciato a fare da un po' di tempo, da quando si parlava della sua liberazione.
La storia di Paula si è incredibilmente intersecata e legata a quella di diverse persone della Comunità di Sant'Egidio in maniera inattesa, particolarmente negli ultimi 3 anni, ma anche da molto prima. Da quando il mondo, ed in particolare l'Italia, si mobilitò per salvarla, nel 1985. La sua vicenda venne a scuotere l’opinione pubblica in Europa, in un mondo che non era ancora globalizzato e che ancora faceva a meno di internet. 

Anche in Italia i giornali si occuparono dell’assassinio di Ruth Pelke, avvenuto nel 1985 a Gary, cittadina del Nord Indiana, ai confini con
l’Illinois. Tre ragazzine di colore sotto l’effetto di sostanze, decisero di compiere una rapina ad un’anziana catechista di 78 anni (che conosceva una delle tre). Mentre una faceva da palo, le altre due rovistavano nelle cose dell’anziana, ma poi forse perché temeva di essere stata scoperta, una delle tre uccise la poveretta, senza pietà. Il frutto della rapina: pochi dollari e la vecchia auto della signora. La polizia in poche ore trovò le tre ragazzine, ma poi al processo delle tre solo Paula fu condannata a morte, mentre le altre scontarono diversi anni in carcere. 
Si creò un legame stretto con l’Italia, dove ci fu un’ampia mobilitazione per salvare Paula, in gran parte grazie all’iniziativa di don Germano Greganti (fondatore di “Non uccidere”) e di P. Vito Braconi. Alla raccolta di firme parteciparono anche
diverse persone della comunità di Sant’Egidio. Arrivò poi anche il decisivo intervento di Giovanni Paolo II, che intercesse perché quella quindicenne non finisse sulla sedia elettrica. Alla fine, molti anni prima che la Corte Suprema degli S.U. abolissero la pena capitale per i minorenni, la Corte commutò la condanna a morte in 60 anni, 
poi ridotti a 30, in considerazione della buona condotta. Diverse persone della Comunità all'epoca parteciparono alla raccolta delle firme per salvare la vita di Paula e grazie anche all'intervento diretto di Giovanni Paolo ebbe salva la vita e la condanna commutata prima a 60 anni, pena poi ridotta a 30 per buona condotta. Abbiamo conosciuto Paula

soprattutto attraverso la nostra amicizia personale con Bill Pelke. Da quando abbiamo conosciuto quest’uomo un po' eccezionale (quindi almeno dal 1998), abbiamo atteso – assieme a lui – di vedere Paula libera, dopo aver scontato una pena molto lunga di quasi 30 anni, nei quali è riuscita a laurearsi, ma soprattutto ha maturato una vocazione ad aiutare altri giovani, che hanno vissuto esperienze di grande violenza.
Il giorno della sua liberazione Bill Pelke,  dopo aver perdonato Paula ha lottato strenuamente (anche andando contro alcuni suoi familiari) affinchè le fosse salvata a vita. Disse Bill il giorno della liberazione di Paula:  “E’ la realizzazione di un sogno, frutto del perdono e della riconciliazione. Mia nonna morì che aveva in mano la Bibbia e piangeva. Sono certo che quelle lacrime erano il segno del suo perdono. Nanà (la nonna) non avrebbe mai voluto la morte di nessuno, neanche del suo assassino. Oggi – prosegue Bill - Paula non ha niente a che fare con quella ragazzina, è diversa, ha studiato, vuole aiutare i giovani in difficoltà, per dimostrare che si può davvero ricominciare. No alla pena di morte.”

  
Il nostro intento era anzitutto quello di aiutare Paula nel momento così difficile della liberazione, ma il nostro sogno sarebbe stato quello di portarla a Roma dal Papa, per poi incontrare i giovani, ai quali Paula voleva trasmettere un forte messaggio di speranza e riconciliazione. Così decisi di andarla a trovare un mese prima della sua liberazione, a maggio del 2013. In Indiana mi accorsi subito che le cose non affatto così semplici come pensavamo.In effetti in quei giorni erano usciti diversi servizi e interviste sui media nei quali Le interviste nella prima parte riassumono i dettagli dell’omicidio, mostrando anche il coltello, le immagini d’epoca dell’arresto di P. che piange e l’intervista a Bill. Nella seconda c’è una breve intervista a P., in cui le racconta dei cambiamenti che l’hanno portata in questi anni a prendere un diploma in gastronomia ed a diventare il capo dei corsi dei cucinieri del carcere, lavoro a cui tiene molto. Paula mi chiarì subito cosa avrebbe voluto fare: anzitutto “sparire” dai clamori delle TV e dei media, uscire dal carcere nel più completo anonimato. Non voleva che nessuno la potesse ricordare per il male compiuto 30 anni prima. Mi disse: "Chi commette un crimine deve scontare una pena, anche di molti anni. Ma poi ognuno merita di avere una seconda chance. Anche io."Voleva una nuova vita, dedicata all'educazione dei giovani a rischio, come era stata lei. Questa sarebbe stata la sua seconda chance.. Dopo quel lungo ed intenso colloquio ebbi la sensazione – poi confermata dall'evidenza dei fatti - che se Paula fosse tornata a Gary, cioè nella sua cittadina (ghetto nero tra i più problematici degli S.U.) avrebbe corso seri pericoli di vita. Infatti molti promettevano di ucciderla. Ciò emerse con chiarezza dando un’occhiata al blog di commenti all’intervista che aveva rilasciato alla CBS: toni molto accesi e preoccupanti – di chiara fama razzista - che inneggiavano alla vendetta contro una nera che ha ucciso un bianco. Dal blog: (“Merita la morte!, Ha ucciso uno di noi!”, ed un altro: “Che direte poi quando dopo essere uccisa ucciderà ancora, magari un vostro familiare?”. “Perché difendete gli assassini? E alle persone oneste chi ci pensa? Se lo Stato non ci difende, ci difenderemo da soli….”.). E poi a Gary sarebbe andata a vivere con la madre, che soffriva di gravi problemi psichici.Grazie all'aiuto ed all'interessamento della Chiesa cattolica locale fu possibile farla uscire dal carcere in maniera del tutto riservata e senza clamore e trovarle un lavoro ed una casa. Dopo alcuni mesi tornai a trovarla a Indianapolis e sembrava felice della nuova vita. 

La notizia della sua tragica fine è un epilogo inatteso di un'esistenza assai difficile e segnata sin dalla sua infanzia, ma anche di una vita salvata più volte dalla morte.

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