giovedì 30 ottobre 2014

Migliaia di persone nella piazza di Greenfield a Manila hanno detto No alla pena di morte


Si è concluso il I° Congresso panasiatico su diritti umani, rispetto della vita, abolizione della pena di morte che ha visto riuniti nelle Filippine, proprio nella capitale Manila, Ministri della giustizia di diverse nazioni, funzionari pubblici, sindaci, rappresentanti religiosi, testimoni della lotta per la giustizia e per i diritti umani provenienti da diversi Paesi asiatici. 

"No justice without life", “Non c'è giustizia senza vita” hanno affermato i relatori e in conclusione nella piazza di Greenfield migliaia di persone si sono radunate ascoltare le testimonianze di chi della pena di morte ha conosciuto l'ingiustizia e per dire con decisione "No alla pena di morte". 

Il congresso abolizionista di Manila è stato preceduto da una conferenza che si è svolta a Tokyo la settimana scorsa sullo stesso tema ed è stata co-promossa dal governo delle Filippine, uno dei pochi Paesi asiatici ad avere abolito la pena di morte, nonostante le resistenze di una parte dell’opinione pubblica del Paese.

Alcuni stralci dall'intervento dell'on. Mario Marazziti: 
"La pena di morte ha accompagnato la vita degli stati e degli esseri umani per sempre. Millenni. Tuttavia, rispetto agli scorsi 50 anni, e in particolare gli ultimi venti anni il mondo sta modificando radicalmente. La pena di morte sta diventando uno strumento del passato. 140 paesi non ne fanno più uso, mentre erano solo 20 in metà degli anni Settanta. La pena di morte è più antica del mondo moderno. Nella Bibbia, si sa, la Bibbia contiene molti riferimenti a uccidere e a reati punibili con la morte. Ma anche il famoso un-occhio-per-occhio codice era un modo per ridurre la vendetta e punizione da "settanta volte sette ", l'infinito, di una misura più proporzionata e il sigillo sulla fronte di Caino per proteggerlo dalla vendetta fisica, dopo aver ucciso il fratello, ha mostrato una seconda linea di insegnamento che culmina nel libro di Giobbe, dove la vita e l'anima sono nelle mani di Dio e nessun altro può avere potere su di loro. La vita è un respiro nelle mani di Dio. Non degli uomini. In questo modo, nessuno Stato ha l'autorità di prendersi la vita".... E ancoraLe Filippine hanno oggi l'autorità e la credibilità per favorire il processo di abolizione in Asia, e per avere un ruolo attivo nell'approvazione della nuova risoluzione per una Moratoria Universale che deve essere votata alle Nazioni Unite il prossimo novembre. Le Filippine hanno l'autorità e lo Satus per farlo, perché erano in qualche modo tra i leader del fronte mantenitore e non è stato un processo facile uscirne.... La pena di morte ribadisce una cultura di morte e non una cultura della vita. Mentre, presumibilmente, vuole lottare per la vita e la giustizia. In tutti paesi comunque colpisce la parte più debole della società, i poveri e le minoranze etniche...A chi dice: "La pena di morte è sempre esistita", perché cambiare? o vuole reintrodurla, rispondo che anche la schiavitù e le torture sono stati considerati normali per tanto tempo. Ma ora il mondo li rifiuta, anche se non sono del tutto sradicate...L'Europa è diventata la prima zona libera dalla pena di morte del mondo. L'Europa ha visto troppi milioni di vittime, per secoli. Poi la Prima e la Seconda Guerra Mondiale". 














mercoledì 29 ottobre 2014

Vescovi filippini: no al ripristino della pena di morte

 I vescovi filippini ribadiscono il loro fermo no al ripristino della pena di morte per la quale premono alcune lobby nel Paese, dove è stata abolita nel 2006. La sua reintroduzione è ingiustificata, afferma la Commissione episcopale per la Pastorale delle carceri (Ecppc) nel messaggio per l’annuale settimana di sensibilizzazione dedicata dalla Chiesa locale ai carcerati, ricordando che sul patibolo sono finiti anche tanti innocenti. Lo riferisce Radio Vaticana.

Essere contro la pena di morte non significa volere lasciare in libertà i criminali: “La Chiesa crede fermamente nella Giustizia che è un valore fondamentale”, puntualizza il messaggio pubblicato sul sito dei vescovi. “Chi viola la legge deve rispondere dei suoi crimini dopo un giusto processo”. E tuttavia, sottolinea la Commissione, “togliere la vita a chi è stato condannato ed è stato reso incapace di offendere, significa dare un pessimo insegnamento ai nostri figli: quello che la vita è un bene disponibile come un qualsiasi gadget dell’era post-moderna”.

Inoltre – sottolinea ancora il messaggio - essa non è mai riuscita a fermare neanche i crimini più odiosi. Di qui l’invito ai sostenitori della pena capitale a considerare pene alternative. La Chiesa, da parte sua – afferma in conclusione il messaggio - sostiene con convinzione un altro modello di giustizia: quello di una giustizia riparativa, finalizzata, da un lato, a sanare le ferite e a conciliare la vittima e l’aggressore e, dall’altro al recupero e alla riabilitazione dei carcerati.

E l’ottenimento di una moratoria della pena capitale in Asia è l’obiettivo della Conferenza internazionale organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio “Non c'è giustizia senza vita” che si conclude oggi proprio a Manila, con la partecipazione di Ministri della giustizia di diverse nazioni, funzionari pubblici, sindaci, rappresentanti religiosi, testimoni della lotta per la giustizia e per i diritti umani provenienti da diversi Paesi asiatici.

Non è un caso che alla promozione della Conferenza abolizionista, la prima parte della quale si è svolta a Tokyo la settimana scorsa, abbia partecipato il governo delle Filippine, uno dei pochi Paesi asiatici ad avere abolito la pena di morte, nonostante le resistenze di una parte dell’opinione pubblica del Paese.

http://www.avvenire.it/Mondo/


Reyhaneh: “Dona i miei organi e lascia che il vento mi porti via”

Cara mamma dal cuore d'oro, nell'altro mondo gli accusatori siamo io e te, e loro sono gli imputati. Vediamo quel che vuole Dio. Io avrei voluto abbracciarti fino alla morte. Ti voglio bene
Il testamento di Reyhaneh: “Dona i miei organi e lascia che il vento mi porti via”


Reyhaneh Jabbari, la ventiseienne iraniana impiccata sabato in Iran per aver ucciso un uomo che accusava di tentato stupro, ha lasciato questo messaggio vocale alla madre lo scorso aprile (quando era prevista la sua esecuzione poi rimandata). Alcuni attivisti iraniani lo hanno trascritto e fatto circolare su internet: lo considerano il suo testamento. Reyhaneh è stata seppellita domenica mattina, ma alla famiglia non è stato permesso di celebrare un funerale per lei. 

Cara Shole,

oggi ho appreso che e’ arrivato il mio turno di affrontare la Qisas (la legge del taglione ndr). Mi sento ferita, perché non mi avevi detto che sono arrivata all’ultima pagina del libro della mia vita. Non pensi che dovrei saperlo? Non sai quanto mi vergogno per la tua tristezza. Perché non mi hai dato la possibilità di baciare la tua mano e quella di papa’?

Il mondo mi ha permesso di vivere fino a 19 anni. Quella notte fatale avrei dovuto essere uccisa. Il mio corpo sarebbe stato gettato in un qualche angolo della città e, dopo qualche giorno, la polizia ti avrebbe portata all’obitorio per identificare il mio cadavere, e avresti appreso anche che ero stata stuprata. L’assassino non sarebbe mai stato trovato poiché noi non godiamo della loro ricchezza e del loro potere. E poi avresti continuato la tua vita nel dolore e nella vergogna, e un paio di anni dopo saresti morta per questa sofferenza, e sarebbe finita cosi’.

Ma a causa di quel colpo maledetto la storia e’ cambiata. Il mio corpo non e’ stato gettato via, ma nella fossa della prigione di Evin e nelle sue celle di isolamento e ora in questo carcere-tomba di Shahr-e Ray. Ma non vacillare di fronte al destino e non ti lamentare. Sai bene che la morte non e’ la fine della vita.

Mi hai insegnato che veniamo al mondo per fare esperienza e per imparare una lezione, e che ogni nascita porta con se’ una responsabilità. Ho imparato che a volte bisogna combattere. Mi ricordo quando mi dicesti che l’uomo che conduceva la vettura aveva protestato contro l’uomo che mi stava frustando, ma quest’ultimo ha colpito l’altro con la frusta sulla testa e sul volto, causandone alla fine la morte. Sei stata tu a insegnarmi che bisogna perseverare, anche fino alla morte, per i valori.

Texas la 31esima esecuzione. Sempre più difficile reperire i farmaci

Miguel Paredes, giustiziato in Texas con un'iniezione letale. Nuova esecuzione di una condanna a morte in Texas, la decima dall'inizio del 2014 e la 31esima in tutti gli Stati Uniti. Miguel Paredes, 32 anni, di cui 13 passati nel braccio della morte di una prigione di Huntsville, è stato dichiarato morto per iniezione letale alle 18.54 locali, nella notte italiana. 


Le autorità penitenziarie texane non hanno rivelato il tipo di farmaco utilizzato per l'esecuzione.  La notizia della morte di Paredes è giunta proprio mentre la Corte suprema degli Stati uniti ha ordinato il rinvio di un'altra esecuzione prevista in Missouri. 

Il numero delle esecuzioni quest'anno negli Stati Uniti sembra destinato a toccare il picco più basso dal 1994. Sempre più difficile  reperire i farmaci per il cocktail dell'iniezione letale. 


Il perdono l'arma più potente per non toccare Caino

Reyhaneh Jabbari e l'ergastolo "pena di morte nascosta"

di Mauro Leonardi 
prete e scrittore

Quando hanno condannato a morte Reyhaneh Jabbari ho pensato che fosse così ingiusto che non c'era e non ci poteva essere nessun commento da fare. Poi ho letto la lettera che ha scritto alla madre e ho iniziato a riflettere su questa giovane donna che andava a morire eppure parlava di un'altra morte che l'aveva sorpresa: quella di una prigione e del suo isolamento. E mi sono venute in mente le parole di Papa Francesco che ha abolito l'ergastolo dal codice penale vaticano perché "è una pena di morte nascosta".

C'è un modo di morire che ci sorprende da vivi. Gettati in fondo al nulla delle relazioni, al nulla del silenzio, al nulla dell'isolamento di una cella. Se non hai nessuno che parla con te, che nulla sa delle tue lacrime e non vede i tuoi occhi perché non vede te, se è così, ti sembra una morte semplicemente perché lo è. Ma forse è anche peggio. Perché sei solo un "corpo gettato da qualche parte" e non hai neppure il conforto della religione a dire che dopo la morte c'è qualcosa. Di fronte alla morte, ogni religione ha una speranza, ma di fronte all'isolamento netto, perfetto, inesorabile, di un ergastolo, cosa rimane? Quando sei solo muori di ergastolo ancor prima che di patibolo. Con l'ergastolo non c'è nulla da attendere, sei in un infinito "senza fine".

Ne posso parlare perché per fare una cosa così crudele non c'è bisogno di finire nelle aule giudiziarie. La sappiamo fare anche senza avvocati e codici. Ne siamo esperti anche senza aver mai studiato legge. L'abbiamo subito un ergastolo così. O lo abbiamo inflitto. Ogni volta che abbiamo pensato di curare le ferite della vita, delle relazioni della nostra vita, con delle amputazioni. Ed ecco, come con le amputazioni chirurgiche, continuiamo a sentire l'arto tagliato, ci fa male, ne sentiamo il peso e l'estensione. E non sono le terminazioni nervose ad averne memoria ma il nostro cuore.

Qual è il modo di non uccidere nessuno? Qual è il modo di non toccare Caino? Come posso fare a non toccare il Caino che ha ucciso qualcosa nella mia vita? Posso farlo toccandolo con il perdono. Strana cosa il perdono. "Arma potente" lo definisce Richard Romagnoli sull'Huffington Post. E mi piace questa definizione del perdono. Arma potente che non uccide ma difende e, difendendo, salva, e dà vita. Condannare a morte è chiudere una relazione, non farsi più carico di una situazione. Anche nel modo subdolo dell''indifferenza e del gelido silenzio fatto di assenza.

Ecco invece che perdonare rende possibile vivere e dormire. Rende possibile ricominciare, perché rende possibile liberarsi. Una persona che perdona non conosce ergastolo perché ha una chiave in mano che aprirà ogni porta in cui la vita vorrà rinchiuderla. Non è una scelta, perdonare: è un percorso. Non bisogna essere forti per perdonare. Ma essere liberi. Non si ha bisogno di una scelta forte. Ma di un passo dietro l'altro. Di un cammino. Di quel dolore che va vissuto, non amputato e che ci devi entrare dentro. Ti devi conoscere per perdonare. Devi avere consapevolezza della tua storia. Devi dargli un nome, darti un nome. Perdonare è ritrovarsi. È scoprirsi. Se l''ingiustizia è fatta, l'ingiustizia rimane. Ma perdonare è scoprire che rimane anche la vita. E la dignità e l'amore e tutto quello che fa di una vita una storia che val la pena di raccontarsi.

Usa: i Padri Fondatori citavano Cesare Beccaria

http://www.onuitalia.com/2014/
(di Alessandra Baldini)


NEW YORK – Quando Thomas Jefferson citava Cesare Beccaria. Anche se le prime leggi degli Stati Uniti usciti dalle Guerre dell’Indipendenza autorizzavano la pena di morte, i Padri Fondatori della nazione americana ammiravano l’opera dell’autore di Dei Delitti e delle Pene, scrive in un editoriale sul National Law Journal lo storico John Bessler, professore di legge alla University of Baltimore School of Law e autore The Birth of American Law: An Italian Philosopher and the American Revolution.

Beccaria era un fervente oppositore della pena capitale e il suo no alle esecuzioni e’ stato citato di recente dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi nei suoi discorsi in settembre all’Assemblea Generale dell’Onu.

In 1769, George Washington compro’ una copia del libro di Beccaria che in inglese era stato tradotto due anni prima. Nel bel mezzo della Guerra di Indipendenza il primo presidente americano disse in Congresso che le esecuzioni erano troppo frequenti. Nel 1770, durante il processo per il Massacro di Boston, anche John Adams cito’ Beccaria per difendere i soldati di Sua Maesta’ accusati di omicidio. Jefferson aveva letto il trattato dell’italiano in lingua originale: “La legge del taglione – scrisse poi – e’ rivoltante per i sentimenti umanizzati dei tempi moderni”.
I Padri Fondatori – scrive ancora Bessler – erano affascinati anche dal potenziale del sistema penitenziario di eliminare punizioni crudeli.  “Beccaria e altri autori che si sono esercitati su delitti e castighi- scriveva Jefferson, terzo presidente degli Stati Uniti e  uno dei  Founding Fathers piu’ influenzato dall’illuminismo – hanno soddisfatto il mondo razionale dell’ingiustizia e dell’inefficacia della pena di morte”. E anche James Madison, il padre della Costituzione, aveva cercato di far fare alla neonata nazione marcia indietro sul fronte delle esecuzioni: “Non sarei contrario a un processo completo e equo sull’abolizione complete della pena di morte da parte di qualsiasi Stato disponibile a farlo”.

Secondo Bessler, i Founding Fathers nutrivano dubbi radicati e profondi: “Abbracciavano i principi di Beccaria e Montesquieu che ogni punizione che va oltre quanto “e assolutamente necessaria” e’ tirannica”. Un messaggio che secondo lo storico si trasferisce a oggi: “In un’epoca di prigioni di massima sicurezza e di sentenze all’ergastolo senza sconti di pena il ricorso alla pena di morte non puo’ piu’ essere considerato necessario”.

martedì 28 ottobre 2014

Pena morte, la Cina possibile la depenalizzazione di 9 reati ora puniti con la morte

 (TMNews) - La Cina sta valutando di cancellare nove reati tra i 55 passibili di pena di morte. L'ha reso noto oggi l'agenzia di stampa ufficiale Xinhua. Tra i reati che potrebbero uscire dalla lista, anche la raccolta di fondi illegale. La Repubblica popolare è il paese che esegue più pene capitali al mondo, secondo le organizzazioni dei diritti umani. Secondo la Xinhua, è stata presentata al Comitato permamente del Congresso nazionale del popolo una proposta d'emendamento che taglia il numero dei reati perseguibili con la morte. La scorsa settimana, in un'importante riunione del Partito comunista cinese, è emerso un impegno a garantire "lo stato di diritto", anche se gli analisti affermano che non sono in previsione sostanziali cambiamenti di rotta.

lunedì 27 ottobre 2014

Conferenza abolizionista a Manila per trainare l'Asia verso la moratoria

Manila: I Conferenza asiatica contro la pena di morte  #Asia4life
on. Mario Marazziti

Manifestazione contro la pena di morte - ANSA

Le Filippine intendono essere un paese locomotiva dell’Asia nella campagna per l’abolizione della pena di morte: è quanto affermano attivisti , politici, leader religiosi alla vigila di una conferenza continentale che si tiene oggi e domani a Manila. Proprio per questo impegno, le Filippine, nazione esemplare nel contente, guideranno la I Conferenza asiatica internazionale “Non c'è giustizia senza vita”, focalizzata sulla campagna di abolizione della pena capitale.
Vi partecipano - riferisce l'agenzia Fides - Ministri della giustizia di diverse nazioni, funzionari pubblici, sindaci, rappresentanti religiosi, testimoni della lotta per la giustizia e per i diritti umani provenienti da diversi paesi asiatici come Filippine, India, Giappone, Indonesia, Sri Lanka, Mongolia, Laos, Cambogia, Vietnam e altri.
La Conferenza – organizzata dal Dipartimento di giustizia delle Filippine e dalla Comunità di Sant'Egidio, in collaborazione con il Comune di Mandaluyong, nella metropoli di Manila – intende offrire una piattaforma di dialogo per i Paesi
interessati a una moratoria sulle esecuzioni capitali.
“Abbiamo una legge firmata il 24 giugno 2006 che abolisce la pena capitale”, ha ricordato il segretario alla Giustizia del governo filippino, Leila de Lima. A luglio 2014 i vescovi filippini hanno diramato una nota che esprimeva “contrarietà assoluta, con voce piena, sul ripristino della pena di morte”, di fronte al tentativo di alcune lobby di ripristinarla nella nazione.
La conferenza abolizionista si tiene in Asia “proprio perché la maggior parte dei Paesi che tengono in vigore la pena capitale si trovano in Asia”, ha spiegato a Fides Leonardo Tranggono, addetto alle relazioni internazionali per la Comunità di Sant'Egidio. Negli ultimi anni, 114 Paesi membri delle Nazioni Unite hanno concordato nel porre in vigore una moratoria o la cessazione di applicazione della pena di morte, mentre 58 Paesi ancora la applicano, molti in Asia. (R.P.)

http://it.radiovaticana.va/news/2014
http://www.santegidio.org/pageID/3/

domenica 26 ottobre 2014

Le Filippine, locomotiva per l’abolizione della pena di morte in Asia

Manila. Le Filippine intendono essere un paese locomotiva dell’Asia nella campagna per l’abolizione della pena di morte: è quanto affermano attivisti , politici, leader religiosi alla vigila di una conferenza continentale per che si tiene a Manila il 27 e 88 ottobre. Proprio per questo impegno, le Filippine, nazione esemplare nel
continente, guideranno la prima Conferenza asiatica internazionale “Non c'è giustizia senza vita”, focalizzata sulla campagna di abolizione della pena capitale. Vi partecipano Ministri della giustizia di diverse nazioni, funzionari pubblici, sindaci, rappresentanti religiosi, testimoni della lotta per la giustizia e per i diritti umani provenienti da diversi paesi asiatici come Filippine, India, Giappone, Indonesia, Sri Lanka, Mongolia, Laos, Cambogia, Vietnam e altri.

La Conferenza – organizzata dal Dipartimento di giustizia delle Filippine e dalla Comunità di Sant'Egidio, in collaborazione con il Comune di Mandaluyong, nella metropoli di Manila – intende offrire una piattaforma di dialogo per i paesi interessati a una moratoria sulle esecuzioni capitali.
“Abbiamo una legge firmata il 24 giugno 2006 che abolisce la pena capitale”, ha ricordato il segretario alla Giustizia del governo filippino, Leila de Lima. A luglio 2014 i vescovi filippini hanno diramato una nota che esprimeva “contrarietà assoluta, con voce piena, sul ripristino della pena di morte”, di fronte al tentativo di alcune lobby di ripristinarla nella nazione.

La conferenza abolizionista si tiene in Asia “proprio perché la maggior parte dei paesi che tengono in vigore la pena capitale si trovano in Asia”, ha spiegato a Fides Leonardo Tranggono, addetto alle relazioni internazionali per la Comunità di Sant'Egidio. Negli ultimi anni, 114 paesi membri delle Nazioni Unite hanno concordato nel porre in vigore una moratoria o la cessazione di applicazione della pena di morte, mentre 58 paesi ancora la applicano, molti in Asia. 

http://www.fides.org/it/news/56251-ASIA_FILIPPINE_

“No justice without Life” un'iniziativa di sant'Egidio in Giappone

Pianeta Giappone
Iniziativa italiana contro la pena di morte in Giappone

Stefano Carrer 25 ottobre 2014
Il Sole 24ore


La Comunità di Sant'Egidio, con l'appoggio delle autorità diplomatiche italiane ed europee, ha promosso una iniziativa per sensibilizzare parlamentari e opinione pubblica giapponese contro la pena di morte. A “No justice without Life” _ presso la Dieta giapponese _ sono intervenuti Alberto Quattrucci (Sant'Egidio) e Mario Marazziti (presidente della Commissione permanente per i diritti umani della Camera). E' arrivato anche Iwao Hakamada, protagonista di un caso clamoroso: condannato a morte nel 1968, è stato scarcerato nel marzo di quest'anno dopo che un tribunale ha riconosciuto che le prove utilizzate furono con tutta probabilità falsificate. Dopo la fine di una pausa informale durata 20 mesi, nel
marzo 2012 in Giappone sono riprese le esecuzioni capitali e anzi da allora sono aumentate in frequenza (18). L'obiettivo politico più immediato di Ong e autorità italiane ed europee è sollecitare Tokyo affinché – dopo il caso Hakamada – non dia più un voto contrario alla proposta di moratoria universale che sarà riproposta all'Onu tra qualche settimana, ma almeno si astenga o non voti. In attesa di un ripensamento più generale.


http://video.ilsole24ore.com/

sabato 25 ottobre 2014

Burkina Faso: Consiglio dei Ministri favorevole all' abolizione della pena di morte

Mercoledì 15 ottobre il Consiglio dei ministri ha esaminato un progetto di legge relativo all'abolizione della pena capitale in Burkina Faso.

Il ministro dei diritti umani del Burkina M. Albert Ouédraogo ha partecipato a tre edizioni del Congresso Internazionale sull'abolizione della pena di morte a Roma No Justice Without Life. In seguito la Comunità di Sant'Egidio è stata interpellata dall'attuale ministro della giustizia M. Dramane Yaméogo per essere audita 
presso le Istituzioni del governo e per la diffusione delle ragioni, l'importanza e la necessità di abolire la pena di morte anche presso la popolazione civile. 


Il progetto ha l'obiettivo di conformare il paese agli impegni nazionali e internazionali in materia di diritti umani. Il Consiglio dei ministri ha ha convenuto di trasmettere l'approvazione del progetto di legge all'Assemblea Nazionale per il voto.

La speranza è ora che il Burkina Faso, che dal 1988 non esegue più la pena di morte ma la mantiene nel codice penale, possa finalmente abolirla de jure. 
E' chiara la volontà del governo del paese di dotarsi di un testo di legge importante per il rispetto del diritto alla vita. 







A Manila 27 e 28 ottobre Congresso panasiatico

A Manila Congresso panasiatico su diritti umani, rispetto della vita, No alla pena di morte #Asia4life

Sant'Egidio e il Ministero della Giustizia delle Filippine convocano il 27 e 28 ottobre rappresentanti dei governi, attivisti e testimoni da diversi paesi asiatici. 

L'evento sarà trasmesso LIVE su web lunedì 27 ottobre, dalle ore 8 (GMT 1)

http://www.santegidio.org/

Reyhaneh Jabbari è stata messa a morte

Reyhaneh Jabbari è stata messa a morte. All’esecuzione della giovane iraniana, erano presenti i genitori e i familiari della vittima. 
La notizia dell’imminente esecuzione era arrivata ieri sera, quando i genitori della ragazza erano stati convocati in carcere per vederla per l’ultima volta. 
La 26enne era poi stata trasferita in un altro carcere non precisato, dove all’alba è stata impiccata. A nulla è valsa la campagna internazionale lanciata per salvare Reyhaneh, né gli appelli che la madre, Sholeh Pakravan, ha affidato ad Aki-Adnkrons International. «L’ho abbracciata per l’ultima volta - diceva la donna nell’ultimo appello, di ieri sera - intervenite al più presto, fate qualcosa per salvare la vita di mia figlia».  Il relatore dell’Alto commissariato per i diritti umani dell’Onu aveva denunciato che il processo del 2009 era stato viziato da molte irregolarità e non aveva tenuto conto che si era trattato di legittima difesa di fronte a un tentativo di stupro. Il perdono della famiglia della vittima avrebbe salvato Reyhaneh dalla forca, ma il figlio dell’uomo ha chiesto che la ragazza negasse di aver subito un tentativo di stupro e lei si è sempre rifiutata di farlo. 

http://www.lastampa.it/

venerdì 24 ottobre 2014

Sant'Egidio: a Manila primo convegno internazionale dell'Asia sulla pena di morte

Manila si prepara alle due giornate, 27 e 28 ottobre, durante le quali si terrà il primo convegno internazionale dell'Asia sulla pena di morte e il rispetto dei diritti umani. 

Conferenza stampa ieri per lanciare questo importante evento. Il convegno  dal titolo “No justice without life” è organizzato dal Dipartimento di Giustizia delle Filippine e dalla Comunità di Sant'Egidio in cooperazione con la Municipalità di Mandaluyong e Metromanila. 



https://www.youtube.com/watch?v=Uo4YRLflXN4

Sant’Egidio a Tokyo con reduce “death row”, stop esecuzioni

TOKYO – Iwao Hakamada ha vinto il suo ultimo match in un’aula di tribunale e oggi e’ vivo per raccontare la sua storia: l’ex pugile giapponese, al fianco del presidente della commissione Diritti Umani della Camera Mario Marazziti, ha preso parte a un convegno organizzato dalla Comunita’ di Sant’Egidio a Tokyo sulla pena di morte in Asia.
Iwao Hakamada 48 anni nel death row

Hakamada, 78 anni, e’ stato rilasciato il 26 marzo dopo 48 anni di carcere, 46 dei quali nel braccio della morte. Una detenzione da Guinness, un record mondiale. Grazie alla prova del Dna il prigioniero aveva ottenuto la revisione del processo e la scarcerazione: non era stato lui a sterminare una famiglia di quattro persone, il delitto per il quale nel 1968 era stato condannato all’impiccagione.

Il Convegno di Sant’Egidio a Tokyo, e l’altro organizzato dalla comunità trasteverina a Manila, rientrano nella campagna internazionale ‘Non c’è giustizia senza vita’. “L’Asia resta il continente dove la pena di morte continua a mantenere il più alto numero di vittime, anche se non mancano significativi segnali di apertura da parte di alcuni governi e della società civile”, ha dichiarato Marco Impagliazzo, presidente dell’organizzazione.

“La Coalizione Mondiale contro la Pena di Morte, che oggi raccoglie 150 organizzazioni internazionali, è nata nel 2002 nella sede della nostra Comunità a Trastevere”, ha aggiunto Impagliazzo aggiungendo che le parole di papa Francesco contro la pena di morte  del papa “ci incoraggiano a proseguire sul cammino intrapreso e ad insistere affinché il tema della moratoria delle esecuzioni capitali venga riproposto ed approvato all’Assemblea generale delle Nazioni Unite in corso a New York”. 

giovedì 23 ottobre 2014

Papa Francesco: l’ergastolo è una pena di morte nascosta



I cristiani sono chiamati ad abolire la pena di morte e migliorare le condizioni carcerarie nel rispetto della dignità umana.

«L'ergastolo è una pena di morte nascosta». Lo denuncia Papa Francesco nel suo discorso all'Associazione Internazionale di Diritto Penale. «Tutti i cristiani e gli uomini di buona volontà - afferma - sono chiamati oggi o a lottare non solo per l'abolizione della pena di morte, legale o illegale che sia, e in tutte le sue forme, ma anche al fine di migliorare le condizioni carcerarie, nel rispetto della dignità umana delle persone private della libertà. E questo, io lo collego con l'ergastolo». Nel discorso, il Papa ricorda che «in Vaticano, da poco tempo, nel Codice penale del Vaticano, non c'è più, l'ergastolo». 

«Il sistema penale va oltre la sua funzione propriamente sanzionatoria e si pone sul terreno delle libertà e dei diritti delle persone, soprattutto di quelle più vulnerabili, in nome di una finalità preventiva la cui efficacia, fino ad ora, non si è potuto verificare, neppure per le pene più gravi, come la pena di morte». 

«C`è il rischio - afferma Bergoglio - di non conservare neppure la

proporzionalità delle pene, che storicamente riflette la scala di valori tutelati dallo Stato. Si è affievolita la concezione del diritto penale come ultima ratio, come ultimo ricorso alla sanzione, limitato ai fatti più gravi contro gli interessi individuali e collettivi più degni di protezione. Si è anche affievolito il dibattito sulla sostituzione del carcere con altre sanzioni penali alternative». 

«In questo contesto, la missione dei giuristi non può essere altra che quella di limitare e di contenere tali tendenze. È un compito difficile, in tempi nei quali molti giudici e operatori del sistema penale devono svolgere la loro mansione sotto la pressione dei mezzi di comunicazione di massa, di alcuni politici senza scrupoli e delle pulsioni di vendetta che serpeggiano nella società».

Papa Francesco: no il carcere per minori e anziani

Papa Francesco chiede un ripensamento nell'applicazione delle sanzioni penali a bambini e vecchi e nei confronti di altre persone specialmente vulnerabili. "Gli Stati - afferma nel discorso rivolto oggi alla Associazione Internazionale di Diritto Penale - devono astenersi dal castigare penalmente i bambini, che ancora non hanno completato il loro sviluppo verso la maturita' e per tale motivo non possono essere imputabili". Secondo il Pontefice, "essi invece devono essere i destinatari di tutti i privilegi che lo Stato e' in grado di offrire, tanto per quanto riguarda politiche di inclusione quanto per pratiche orientate a far crescere in loro il rispetto per la vita e per i diritti degli altri".
Considerazioni analoghe riguardano "gli anziani, che, afferma Bergoglio, per parte loro, sono coloro che a partire dai propri errori possono offrire insegnamenti al resto della societa'.
Non si apprende unicamente dalle virtu' dei santi, ma anche dalle mancanze e dagli errori dei peccatori e, tra di essi, di coloro che, per qualsiasi ragione, siano caduti e abbiano commesso delitti". Inoltre, "ragioni umanitarie impongono che, come si deve escludere o limitare il castigo di chi patisce infermita' gravi o terminali, di donne incinte, di persone handicappate, di madri e padri che siano gli unici responsabili di minori o di disabili, cosi' trattamenti particolari meritano gli adulti ormai avanzati in eta'". Francesco chiede invece pene piu' severe per "il delitto della tratta delle persone" "La schiavitu', inclusa la tratta delle persone, e' riconosciuta - ricorda - come crimine contro l'umanita' e come crimine di guerra, tanto dal diritto internazionale quanto da molte legislazioni nazionali. E' un reato di lesa umanita'. E, dal momento che non e' possibile commettere un delitto tanto complesso come la tratta delle persone senza la complicita', con azione od omissione, degli Stati, e' evidente che, quando gli sforzi per prevenire e combattere questo fenomeno non sono sufficienti, siamo di nuovo davanti ad un crimine contro l'umanita'". Secondo il Papa, la massima severita' va applicata anche "se accade che chie' preposto a proteggere le persone e garantire la loro liberta', invece si rende complice di coloro che praticano il commercio di esseri umani, allora, in tali casi, gli Stati sono responsabili davanti ai loro cittadini e di fronte alla comunita' internazionale". (AGI) .

mercoledì 22 ottobre 2014

Save the date! Tokyo parla di pena di morte 23 e 25 ottobre

No justice without life
Tokyo parla di pena di morte il 23 e 25 ottobre
Il 23 ottobre presso la Camera dei Rappresentanti con parlamentari, magistrati, intellettuali, attivisti, rappresentanti dell'U.E., presente l'on. Marazziti. 

Il 25 ottobre presso l'YMCA un incontro interreligioso sul tema della pena di morte.






martedì 21 ottobre 2014

Pena morte: al via negoziati moratoria, Italia, spirito inclusivo

NEW YORK  – La battaglia contro la pena di morte passa attraverso una campagna “inclusiva” per la moratoria delle esecuzioni: “L’Italia ribadisce il suo appoggio allo spirito inclusivo e cooperativo che dal 2007 ha contribuito a far crescere i consensi”, ha detto il Vice Rappresentante Permanente d’Italia all’Onu Inigo Lambertini intervenendo presso la Terza Commissione dell’Assemblea Generale, quella che si occupa di diritti umani.

I negoziati informali per l’elaborazione di un nuovo testo si sono aperti oggi in vista del primo voto in Commissione, il quinto dal 2007, in programma a novembre. Ieri, in una riunione dei capi missione Ue, il nuovo alto commissario per i diritti umani Zeid Ra’ad al Hussein ha avuto parole di apprezzamento per il ruolo propulsivo giocato dall’Italia fin dall’inizio della campagna. Lambertini ha ribadito lo spirito dell’impegno italiano: “Scopo della risoluzione non e’ di mettere sul banco degli imputati nessun sistema o nessuna cultura legale”.

Consapevole che ciascuna nazione ha diritto di muoversi a un passo diverso delle altre, l’Italia e pronta a offrire la propria esperienza e il suo sostegno tecnico: “Una prestigiosa scuola di legge italiana, l’Istituto Superiore Internazionale di Scienze Criminali di Siracusa, ha offerto di addestrare giudici di paesi che ancora hanno la pena di morte a come recedere dalla sua applicazione”.

Il rappresentante italiano ha toccato altri punti dell’impegno italiano in materia di diritti umani: tra questi la tutela dei diritti dei disabili e la promozione del dialogo interculturale e interreligioso: “Siamo convinti che la religione abbia un ruolo centrale nella prevenzione dei conflitti deve diventare un fattore importante di stabilita'”, ha detto Lambertini secondo cui “nessuna discriminazione puo’ essere giustificata sulla base della religione di un individuo che, secondo la Costituzione della Repubblica Italiana, e’ materia di libera scelta”.

http://www.onuitalia.com

In crescita le esecuzioni in Cina

E' quanto ha riferito 'organizzazione non governativa Dui Hua Foundation, che ha sede negli Stati Uniti, sottolineando come il dato rappresenti un calo del 20% rispetto al 2012 e sia solo una frazione delle 12.000 esecuzioni registrate nel 2002. La Cina avrebbe dunque giustiziato lo scorso anno 2.400 persone.
L'ong ha fatto sapere di aver ottenuto i dati da "una fonte giudiziaria con accesso al numero di esecuzioni condotte ogni anno. 
La Cina non diffonde mai i dati sulle esecuzioni, ritenuti un segreto di Stato, ma le organizzazioni per la difesa dei diritti umani lo considerano il paese che esegue il maggior numero di condanne a morte.

Pena di morte: Iraq, appello Onu per stop esecuzioni


L’Iraq dovrebbe abbandonare la pena di morte in quanto e’ una forma di punizione ingiusta, mal applicata e che alimenta la violenza che si prefigge di prevenire: l’appello e’ delle Nazioni Unite in un rapporto congiunto della missione Onu in Iraq e l’Ufficio dell’Alto Commissario per i diritti umani del Palazzo di Vetro.

L’Onu ha scoperto che l’Iraq tende a effettuare le condanne in gruppi – nel 2013 34 in un solo giorno su un totale di 177 – perche’ il presidente Jalal Talabani e’ contrario alla pena di morte ed un suo vice forma gli ordini di esecuzione quando lui si trova all’estero.  Ma anche così i primi otto mesi dell’anno in corso hanno già visto 80 esecuzioni con 1.724 condannati tuttora nel braccio della morte. Secondo Amnesty International solo Cina, Arabia Saudita e Iran battono l’Iraq quando a superlavoro del boia.

Secondo il dossier, l’alto numero di esecuzioni rappresenta una reazione  all’escalation di violenza in atto nel Paese. L’Alto Commissario per i diritti umani Zeid Ra’ad Al Hussein e il rappresentante speciale Onu per l’Iraq Nickolay Mladenov hanno fatto appello alle autorita’ irachene perche’ fermino la mano del boia.

Il rapporto evidenzia il clima di arbitrarietà nell’applicazione della pena capitale. Spesso le sentenze di morte sono comminate sulla base di confessioni estorte con la tortura o controverse o su prove fornite da informatori segreti. Il rapporto parla anche di parenti di condannati a cui e’ stata offerta la chance di evitare il boia assumendo un particolare avvocato per centomila dollari e di donne finite nel braccio della morte al posto di parenti maschi.

Marocco, senza esecuzioni da 20 anni ma il braccio della morte resta pieno

di Riccardo Noury  20 ottobre 2014

L’ultima volta che in Marocco venne eseguita una condanna a morte fu nel 1993. Da allora, i tribunali hanno continuato a emettere sentenze capitali ma non ci sono state esecuzioni. Eppure, dopo oltre 20 anni di moratoria, in attesa dell’uccisione per via giudiziaria rimangono oltre 100 prigionieri. A fare che?

Secondo Nouzha Skalli, ex ministra e attuale portavoce della Rete parlamentare contro la pena di morte, “molti dei condannati a morte hanno sviluppato disturbi mentali e versano in condizioni psicologiche estremamente difficili”. Alcuni di loro sono nel braccio della morte da oltre 15 anni.

Le richieste di cancellare definitivamente la pena di morte dall’ordinamento giuridico si fanno sempre più insistenti: da parte della società civile, guidata dalla Coalizione marocchina per l’abolizione della pena di morte,  una rete di sette organizzazioni abolizioniste sorta nel 2003; e da parte delle istituzioni, in prima fila il Consiglio nazionale per i diritti umani e la Commissione per l’equità e la riconciliazione ma anche lo stesso parlamento, dove ormai 240 deputati su 600 sono apertamente contrari alla pena capitale.

Dal lato opposto, la nuova Costituzione, adottata nel 2011, garantisce “il diritto alla vita” senza vietare espressamente la pena di morte. I partiti islamisti la difendono in quanto coerente con la sharia e il ministro della Giustizia sostiene che il “terrorismo” è un buon motivo per mantenerla.

Intanto che va avanti il dibattito, gli oltre 100 condannati a morte attendono che qualcuno si occupi della loro situazione. Magari con un provvedimento di clemenza, che riduca la sentenza a pena detentiva.

Pena di morte: Commissario Onu Diritti Umani loda Italia

NEW YORK – Alla vigilia dell’avvio dei negoziati informali all’Onu sulla pena di morte il nuovo alto commissario Onu per i diritti umani Zaid al-Hussein ha elogiato il ruolo dell’Italia nella promozione della risoluzione sulla moratoria delle esecuzioni in un incontro con i capi missione dei paesi dell’Unione Europea.

La risoluzione viene messa ogni due anni all’esame dell’Assemblea Generale e, pur non vendo valore vincolante, ha forte peso morale. E’ stata presentata per la prima volta dalla Ue, su spinta dell’Italia, con otto co-sponsor con l’obiettivo della sospensione, non l’abolizione, della pena di morte in tutto il mondo.

Quell’anno la risoluzione fu approvata due volte: prima nella Terza Commissione che si occupa di diritti umani, poi dall’Assemblea nel suo complesso con 104 voti a favore e 54 contro, 29 astensioni e cinque assenti all’atto del voto.  Testi sulla stessa linea sono stati riproposti da allora con un crescente aumento di consensi. Nel 2012 la risoluzione sulla moratoria ha ottenuto 111 voti favorevoli, 41 contrari e 34 astenuti. 

http://www.onuitalia.com/

domenica 19 ottobre 2014

Ronciglione: il 30 novembre sarà città per la vita, città contro la pena di morte

Il Comune di Ronciglione


Riceviamo e pubblichiamo:

“Il Comune di Ronciglione accoglie con favore la proposta della comunità di Sant’Egidio di adesione alla campagna contro la pena di morte, dichiarando il 30 novembre giornata internazionale “Città per la vita – Città contro la pena di morte”. L’Amministrazione comunale è sensibile al tema ed è felice di dare il suo contributo alla campagna di sensibilizzazione contro questa pratica degradante; a riprova del nostro forte  impegno  è stato scelto il simbolo della nostra cittadina, il Palazzo Comunale,  quale logo vivente, attraverso una sua illuminazione speciale, arricchita di simboli e messaggi a a favore della vita e dell’abolizione della pena capitale”.

L’iniziativa “Città per la vita – Città contro la pena di morte” è sostenuta da una vasta rete di municipalità nel mondo, che si battono per il rispetto della vita e della dignità dell’uomo, sensibilizzando la cittadinanza sull’urgenza di cancellare la pratica della pena capitale dal panorama giuridico e penale degli Stati. La Comunità di Sant’Egidio è stata chiamata a far parte della task force che sosterrà questo impegno, con l’appoggio del Ministero degli Esteri. In tal senso, è  stato stilato un programma di iniziative che coinvolgono in maniera diretta anche le Amministrazioni, invitate ad aderire alla giornata del 30 novembre attraverso l’individuazione di un monumento cittadino significativo che possa diventare “logo vivente” della campagna.

Ronciglione ha deciso che sarà il Palazzo Comunale – proprio per esprimere tutto l’impegno dell’Amministrazione nella promozione della campagna di abolizione della pena capitale – ad essere il “logo vivente” sul quale il giorno 30 novembre verranno proiettati messaggi e simboli a favore della vita e dell’abolizione della pena di morte, attraverso installazioni di artisti locali. “

http://www.tusciatimes.eu/

sabato 18 ottobre 2014

Respinto l'appello per Asia Bibi, la speranza nella Corte Suprema

Un tribunale pachistano ha respinto l’appello della donna cristiana Asia Bibi, condannata quattro anni fa alla pena di morte per blasfemia. Asia Bibi, madre di cinque figli, era stata condannata nel novembre 2010 dopo essere stata accusata di aver insultato il profeta Maometto. Gli avvocati di Asia Bibi avevano presentato appello ma i due giudici dell’Alta corte di Lahore hanno respinto il ricorso, ha detto alla France Presse uno degli avvocati della giovane cristiana, Shakir Chaudhry, affermando di voler portare la questione davanti alla Corte suprema.

Per la liberazione di Asia Bibi, dopo la prima condanna a morte si era mossa la comunità internazionale ed erano state raccolte più di 400mila firme. Anche Papa Benedetto XVI aveva lanciato pubblicamente un appello per la donna.

In Pakistan l’Alta Corte di Lahore ha confermato la sentenza di condanna a morte per Asia Bibi, la notizia è stata data all’agenzia Fides dall’avvocato della donna.  Ora resta l’appello alla Corte Suprema. 

Continua il calvario di questa donna di 45 anni, madre di cinque figli in carcere ormai da 1943 giorni, un lunghissimo isolamento durante il quale Asia ha sempre pregato confidando – ha detto lei stessa - nel grande amore di Dio. Subito dopo la notizia Paul Bhatti, leader dell’Apma All Pakistan Minorities Alliance, che da sempre si batte in difesa delle minoranze religiose e fratello dell'ex ministro pakistano per le minoranze, Shabbaz, ucciso dagli estremisti ha affermato di avere ancora speranza: "Perché fino ad ora nessuno è stato giustiziato a morte dalla Corte per questa legge. Sono ancora ottimista. Se noi adesso riusciamo a fare ricorso alla Corte Suprema questo darà una speranza e forse una soluzione al problema".

mercoledì 15 ottobre 2014

ANCI: Il 30 novembre la XIII edizione della Giornata Mondiale delle "Città per la vita - città contro la pena di morte"

Si svolgerà il 30 novembre, a ricordo della prima abolizione della pena capitale nel Granducato di Toscana (era il 30 novembre 1786), la XIII edizione della Giornata Internazionale “Cities for Life - Città per la Vita / Città contro la Pena di Morte”.

L’iniziativa, promossa dalla Comunità di Sant’Egidio e appoggiata dall’Anci tramite appello ai sindaci da parte del presidente Piero Fassino, ha l’obiettivo di mettere in rilievo il ruolo che nel processo abolizionista possono giocare le Municipalità, soggetti collettivi che possono catalizzare energie e risorse proprie delle società civili che rappresentano e incoraggiare – negli ambiti di propria competenza - la diffusione di iniziative educative e culturali che mantengano viva l'attenzione su questo tema cruciale, connesso – purtroppo – al fenomeno della violenza diffusa in tanti contesti urbani”.
http://www.anci.it

martedì 14 ottobre 2014

Firma l'appello di Amnesty International per Iwao Hakamada

 
"Voglio dimostrarti che tuo padre non ha mai ucciso nessuno, che la polizia lo sa bene... spezzerò questa catena di ferro e tornerò da te"

Hakamada Iwao ha 78 anni; ne ha trascorsi 45 nel braccio della morte, in Giappone.

A marzo, dopo un test del Dna, è stato rilasciato in vista di un nuovo processo, ma la procura generale giapponese ha presentato un ricorso contro questa decisione.

Hamakada Iwao era stato arrestato e accusato di omicidio nel 1966. Secondo l'accusa, il 30 giugno di quell'anno aveva accoltellato il proprietario della fabbrica dove lavorava e tre familiari della vittima.

Era stato interrogato dalla polizia per 23 giorni di seguito, anche per 12 ore mentre veniva minacciato e picchiato e senza un avvocato, e poi condannato a morte l'11 settembre 1968. Nel corso del processo, aveva denunciato che la polizia gli aveva estorto la confessione con la forza. 

In isolamento nel braccio della morte, Hakamada Iwao ha cominciato ben presto a manifestare segni di squilibrio mentale e comportamentale. Nel 2007 gli è stata diagnosticata l'infermità mentale.

Il Giappone non commuta condanne a morte dal 1975. Quella di Iwao deve essere la volta buona.

In occasione della Giornata mondiale contro la pena di morte, aiutaci a impedire che Hakamada Iwao torni nel braccio della morte!


http://appelli.amnesty.it/firma-appello-per-iwao-hakamada/

lunedì 13 ottobre 2014

Dall'attesa del patibolo alla libertà ecco il congresso dei "dead men walking"

A Filadelfia la convention dei sopravissuti alla pena capitale.

di Paolo Flores d'Arcais

La Repubblica 13 ottobre 2014

C' erano neri, bianchi ed ispanici, uomini diversi tra loro per classe sociale, età e cultura, tutti uniti da un destino comune: un terribile passato, un futuro indefinibile e un faticoso presente da costruire. Per anni sono stati dead men walking , esseri umani condannati a morte dai loro simili, oggi ancora vivi solo grazie a un Dna, a una botta di fortuna o alla dedizione di uomini della legge più scrupolosi di altri. Erano una trentina quelli che hanno risposto all' appello di Witness To Innocence (l' organizzazione che riunisce i "sopravvissuti alla pena capitale" e i loro familiari) e che si sono radunati a Filadelfia per rendere pubblica la loro esperienza, per scambiarsi consigli pratici, per gridare la loro rabbia e soprattutto per chiedere giustizia per chi, innocente come loro, langue ancora in un oscuro braccio della morte.
Sono arrivati da ogni angolo degli States, in una città-simbolo come quella della Pennsylvania dove ènata la Costituzione, tutti con alle spalle lo stesso percorso da incubo. Iniziato con menzogne (di altri), errori giudiziari, false testimonianze,
difensori d' ufficio incapaci, incompetenti (e quasi sempre inutili), confessioni estorte con l' inganno o con le minacce.
Proseguito con un processo in cui la verità (falsa o almeno incerta) era già stata scritta, con la prigione, l' isolamento, i compagni di sventura del braccio della morte ammazzati da una camera a gas, una sedia elettrica o un ago con il veleno infilato nel braccio. Un incubo che spesso ha visto come vittime i più poveri, i più indifesi (ritardati mentali compresi) e un razzismo più o meno velato.
Manuel Velez èl' ultimo, liberato mercoledì scorso dalla prigione di Huntsville (Texas) dopo aver trascorso nove anni nel braccio della morte. Era accusato di un omicidio orribile, quello di un bambino di un anno, figlio della sua (ex) girlfriend, morto per un trauma al cervello. Non poteva che averlo percosso a morte lui, sentenziarono esperti di ogni genere, la condanna fu inevitabile.
Ma nessuno aveva letto il rapporto medico che segnalava con precisione quando era avvenuto il trauma: quel giorno Manuel era lontano mille miglia dal Texas.
«Siamo passati tutti attraverso le stesse situazioni», racconta Sabrina Butler, la sola donna che fa parte del gruppo dei condannatiriabilitati. Era una giovane madre afro-americana del Mississippi quando venne riconosciuta colpevole di avere ucciso il suo bambino ancora in fasce, appena nove mesi di vita. Morto in realtà nel sonno a causa di una malattia ereditaria. «Ho passato 23 ore al giorno chiusa in una celletta, sapendo che il giorno della mia morte era sempre più vicino e non potendo fare nulla». Cinque anni di prigione, 33 mesi nel braccio della morte e gli incubi «che sono presenti di giorno e ritornano ogni notte».
Dal 1973 sono 146 i condannati a morte che in 26 diversi Stati sono stati poi riconosciuti come innocenti. Per tutti il vero problema, dicono i volontari di Witness To Innocence ( l' organizzazione è stata fondata nel 2003 da Helen Prejean, la suora diventata famosa per il film Dead Man Walking, insieme a Ray Krone, il "riabilitato numero cento"), èquello del cosiddetto stress post-traumatico.
Un difficile, a volte impossibile, riadattamento alla vita di ogni giorno, ad una realtà che molti non ricordano o che non hanno mai conosciuto, un po' come avviene per i soldati americani che stono tornati dagli inferni dell' Iraq o dell' Afghanistan. «Si trovano di fronte una società che non ha più nulla a che vedere con quella che avevano lasciato da uomini liberi, prima del processo e della condanna. Molti non hanno mai usato un cellulare, qualcuno non l' ha mai visto».
Randy Steidl è oggi uno dei leader di Witness To Innocence, uno dei più impegnati ad organizzare eventi come quello di Filadelfia.
Nelle prigioni dell' Illinois ha trascorso 17 anni di cui 12 passati in isolamento nel braccio della morte. Era stato condannato nel 1986 per il duplice omicidio di una coppia appena sposata, Dyke e Karen Rhoads, a nulla era servito il fatto che fosse stato uno dei primi a collaborare con la polizia per risolvere il caso. Il suo avvocato si disinteressa, la polizia e i politici locali premono per una condanna, compaiono un paio di testimoni fasulli e il misfatto è compiuto. Saranno, molti anni dopo, un paio di testardi detective della polizia statale a riaprire il caso e finalmente nel 2004 un giudice onesto renderà Randy di nuovo un uomo libero. «Quando sono uscito dal carcere non sapevo neanche usare una pompa automatica, non avevo mai usato Internet, non avevo mai visto un computer portatile.
Ho dovuto imparare tutto quello che serve a vivere nel mondo di oggi. Molti di noi non trovano un lavoro, sono comunque degli ex carcerati ». Lui, come gli altri trenta, è oggi in prima fila per chiedere giustizia: «Il governo federale è personalmente responsabile degli errori giudiziari. Che ci dia almeno dei soldi per permettere di vivere a chi ha attraversato innocente l' inferno».