venerdì 5 settembre 2014

Il New York Times si schiera ancora contro la pena di morte

da Il Secolo XIX

New York - La pena di morte è «fallace, immorale» e per questo «va abolita subito»: dopo che un giudice della North Carolina ha scagionato due uomini da 30 anni in carcere - uno dei due nel braccio della morte - il New York Times è tornato all’attacco. Il caso di Henry McCollum e Leon Brown, questi i nomi dei due innocenti, «è un esempio da manuale di quel che non funziona nel nostro sistema giudiziario», scrive il giornale in un editoriale intitolato “The Innocent on Death Row”, «l’ennesima prova, se ce ne fosse ancora bisogno», che l’iniezione letale non ha ragione di esistere in un Paese leader nella difesa dei diritti umani nel mondo. Un articolo che esce inoltre a pochi giorni dai risultati dell’autopsia sul condannato Clayton Lockett, che lo scorso aprile soffrì un’agonia lunga 43 minuti prima che il veleno dell’iniezione letale avesse ragione di lui, l’ultimo di una serie di esecuzioni «andate male».

È una condanna senza riserve, quella del più influente quotidiano americano, che già l’anno scorso si era scagliato contro il sistema «crudele e disumano» della «morte di Stato» anche in casi di delitti efferati come quello del settembre 1983 quando, in un campo di soia della Robeson County, trovò la morte l’undicenne Sabrina Buie: una vicenda che aveva fatto inorridire un’intera nazione. La bambina era stata stuprata, bastonata e soffocata con la sua biancheria intima. Undici anni dopo il delitto, per difendere la pena capitale, uno dei giudici conservatori della Corte Suprema, Antonin Scalia, aveva citato proprio il caso di Sabrina: «Una morte tranquilla con l’iniezione letale: cosa c’è di più invidiabile, in confronto alla fine fatta da quella bambina?».

Fatto sta che McCollum e Brown non c’entravano per niente. Entrambi con disabilità mentali e uno dei due appena quindicenne, erano finiti in carcere: il piccolo all’ergastolo, il grande nel braccio della morte. L’errore giudiziario fu ancora più emblematico perché il sospettato più plausibile, Roscoe Artis, che sta scontando una condanna all’ergastolo per un omicidio simile commesso poche settimane dopo l’uccisione di Sabrina, era sotto gli occhi di tutti e il suo Dna è stato adesso riscontrato su una sigaretta trovata in quel campo di soia, il luogo del delitto.

«Casi di condanna capitale basati su prove inconsistenti, inquinate da negligenze di procuratori e giudici e viziate da pregiudizi razziali sono purtroppo molto comuni. Eppure, anche se i sostenitori della pena di morte insistono che solo i colpevoli sono messi a morte - scrive il New York Times - è oggi chiaro che il giudice Scalia 20 anni fa era pronto a consentire l’esecuzione di un uomo che è risultato innocente».

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