giovedì 27 febbraio 2014

Pressioni sul ministro della Giustizia signora Luo Ying-Shay affinché ordini l'esecuzione di 45 detenuti


La ministra della giustizia di Taiwan Luo Ying-Shay ha ricevuto critiche da alcuni legislatori del paese per non aver ordinato l’esecuzione di coloro che si trovano nel braccio della morte. Ci sono attualmente 52 condannati a morte nell’isola, alcuni di loro con una sentenza di più di dieci anni fa e che le leggi devono essere applicate. 
La ministra Luo Ying-Shay ha chiesto, nel corso di una sessione informativa nel Legislativo, di rimandare indebitamente l’esecuzione dei condannati a morte che hanno già esaurito ogni tipo di ricorso legale per permettere loro di ottenere il perdono o la commutazione della pena. La ministra Luo ha infatti affermato che è sua intenzione verificare se sia possibile nei casi di questi condannati a morte applicare appelli straordinari, interpretazioni costituzionali o andare a nuovi processi. 


Taiwán riceve forti critiche da organismi e governi stranieri sulla pena di morte ma il governo sostiene che la pena capitale ha l’appoggio della maggioranza del popolo.

mercoledì 26 febbraio 2014

Libri: di Adriano Prosperi "Delitto e perdono. La pena di morte nell'orizzonte mentale dell'Europa cristiana. XIV-XVIII secolo"



Pubblichiamo l'intervista di Giacomo Mori a Adriano Prosperi sul suo ultimo libro: “Delitto e perdono. La pena di morte nell'orizzonte mentale dell'Europa cristiana. XIV-XVIII secolo". 

Di cosa parla il suo libro? 

Il libro parla della storia dei rapporti tra cristianesimo e pena di morte nella tradizione europea e soprattutto nella tradizione italiana, del modo in cui, nel corso della sua storia, l’etica cristiana ha fatto i conti con l’amministrazione della pena capitale che un tempo era considerato un metodo normale di gestione dell’ordine pubblico. 

Ho letto da qualche parte definirlo “la storia della cristianizzazione della pena di morte”, si trova d’accordo con questa affermazione? 

Sì. Innanzitutto, la religione ha spesso rappresentato la base su cui si è sorretta la gestione dello spettacolo della pena di morte, come spettacolo funzionale al potere. La figura del condannato a morte, che viene esecrato e rifiutato sino a morire tra sofferenze atroci, si trasformò, grazie all’opera dei confratelli delle compagnie di giustizia, in un pentito che aspira a diventare santo e che in certi casi, addirittura, finisce per diventare santo nell’opinione pubblica. Queste compagnie di giustizia, legate alla Chiesa, nacquero sistematicamente in tutte le città italiane, anche nei piccoli centri, e crearono un modello di organizzazione della pena capitale che poi si è diffuso nel resto d’Europa portando, appunto, a una vera e propria cristianizzazione della pena di morte. Questa sorta di mediatori si assumevano il compito di gestire il conforto del condannato nelle sue ultime ore di vita, affinchè esso, tramite il patimento della morte, potesse riscattare, non la sua vita terrena che ormai non contava più, bensì la sua vita eterna, ultraterrena. In cambio del suo pentimento e del fatto che lui si assuma, volentieri, il compito di morire, il condannato si garantisce dunque, anche la sentenza favorevole del tribunale divino, quella più importante, che poi gli garantirà la vita eterna in paradiso. 

Ricorda la parabola del buon ladrone. 

Esattamente, il modello di riferimento è appunto l’episodio del buon ladrone, colui che sulla croce, accanto a Cristo, ottiene da lui la promessa del paradiso. Questo è un punto dei Vangeli che viene continuamente usato e citato dai confratelli delle compagnie di giustizia. L’opera dei confratelli, tuttavia, non funge soltanto da attività di conforto nei confronti di colui che si prepara a morire, ma rappresenta anche la legittimazione del potere in quanto serviva inoltre a garantire al principe della città il regolare svolgimento dello spettacolo e la legittimazione sacra, divina di ciò che lui aveva ordinato, ovvero la sentenza di condanna capitale. 

Qual è dunque, se c’è, la tesi che lei sostiene nel libro riguardo al rapporto tra religione cristiana e pena capitale? 

Nel libro, seguo le vie diverse attraverso le quali si stratifica questa radice cristiana della pena capitale: c’è la versione cattolica, italiana e c’è, invece, quella protestante radicale. Secondo la mia opinione, entrambe le dottrine alimentano ancora oggi una diversa maniera di considerare la pena di morte, una differenza di vedute che fu lampante, per esempio, quando, nel maggio 2011, all’annuncio della notizia della esecuzione di Osama Bin Laden il presidente degli Stati Uniti Barack Obama disse quella frase “giustizia è stata fatta” e, invece, dall’altra parte, la sala stampa del Vaticano e poi anche gran parte dell’opinione pubblica, soprattutto italiana, rispose con dichiarazioni critiche di quella frase, sostenendo che non è affatto giustizia il rispondere alla violenza con altrettanta violenza ma, al contrario, è il perdono la vera giustizia cristiana. In queste due reazioni diverse, secondo me, si rispecchia il differente atteggiamento, della radice cattolica e di quella protestante, nei confronti della pena di morte. 

Come giudica il fatto che, nel 2014, in un paese industrializzato e civilizzato come gli Stati Uniti d’America ci sia ancora la pena di morte?


Naturalmente l’uso della pena di morte non è soltanto cristiano, i luoghi dove oggi viene praticata maggiormente sono culture non cristiane, per esempio quella cinese, tuttavia nemmeno nella tradizione cattolica c’era il totale rifiuto della pena di morte, contro Beccaria infatti la cultura cattolica di allora si schierò compattamente, poiché la dottrina Tomistica sostiene che, appunto, la pena di morte può essere utile per garantire l’ordine e per rispondere all’atto del criminale con una punizione adeguata. Diciamo che il Cristianesimo, credendo nella sopravvivenza dell’anima, ha questa via d’uscita della legittimazione della pena di morte in terra perché è dopo che c’è la vera vita. Quindi uccidere l’essere umano non vuol dire troncargli la vita, vuol dire farlo passare ad un’altra, migliore vita. Dunque, la giustificazione del perché un paese come gli Stati Uniti, ancora oggi, si avvalga di questo metodo va ricercato nella sua profonda radice religiosa, protestante.

lunedì 24 febbraio 2014

Il Mattino:

Giustizia: quando il detenuto si uccide in cella è sconfitta la società



di Antonio Mattone

Il Mattino, 24 febbraio 2014

Tre suicidi nel giro di pochi giorni nelle carceri campane. Queste vittime fanno a salire a 9 il numero dei detenuti che si sono tolti la vita nelle prime settimane del 2014 in Italia. "La morte di un uomo è una tragedia, la morte di milioni è una statistica", affermava Stalin. Questi ultimi episodi portano al drammatico bilancio di 810 suicidi a partire dal 2000. In Campania, lo scorso anno, si è toccato il picco dell'ultimo decennio, con 9 carcerati che si sono ammazzati.
M.C. era alla prima esperienza detentiva nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, nel padiglione di Alta Sicurezza. Nulla lasciava prevedere il suicidio. Forse la prospettiva di una lunga detenzione lo ha demoralizzato. Nella Casa Circondariale "Giuseppe Salvia - Poggioreale", invece, A. A. era alla sua settima carcerazione. Tossicodipendente di 36 anni, è morto asfissiato inalando il gas della bomboletta che i detenuti utilizzano per cucinare. Probabilmente cercava solo un po' di sballo ma non è riuscito a controllare gli effetti della sua azione. Infine, nell'Opg di Napoli, B.M., internato in misura di sicurezza provvisoria, si è impiccato nella stanza in cui stava solo.
Questi tre suicidi hanno un filo conduttore: la disperazione e la solitudine di chi vive la carcerazione e non riesce a sopportarla.
È nell'immediatezza dell'ingresso in prigione o in prossimità della liberazione, che di solito avviene questo gesto estremo.
Sappiamo come il carcere impoverisce e la lontananza dalla famiglia può creare forti lacerazioni al suo interno. La paura di uscire e di trovarsi senza sostegno, senza casa, lavoro e affetti può creare smarrimento e turbamento. Un detenuto che si uccide alla vigilia della dimissione non solo è la peggiore sconfitta del sistema penitenziario, ma è il fallimento di un intero sistema sociale.
Anche lo stress quotidiano della vita in carcere, può rappresentare un elemento in grado di far superare la soglia di resistenza di una persona. Basta pensare che in un carcere come Poggioreale, si vive anche in 12 detenuti in uno spazio di appena 30 mq. per 22 ore al giorno, dove tutto è pubblico e condiviso. Persino le proprie lacrime e il proprio dramma sono visibili a tutti, e le proprie preghiere per essere nascoste devono essere solo mormorate. La promiscuità è totale. Nella maggioranza dei padiglioni non ci sono docce nella stanza, ed è possibile usufruirne solo per 2 volte alla settimana. È predisposto un unico luogo dove si cucina e si espletano i propri bisogni fisiologici, con tutto quello che questo comporta.
Eppure l'ordinamento penitenziario definisce le celle "stanze di pernottamento", dove si dovrebbe solo dormire, mentre la vita quotidiana andrebbe svolta in altri locali definiti di soggiorno, dedicati alla realizzazione delle attività lavorative, scolastiche e trattamentali. Il carcere diviene così scuola di delinquenza ma anche luogo di disperazione.
Il disagio che si vive nelle prigioni italiane non risparmia gli operatori penitenziari. Anche tra gli agenti si registrano numerosi suicidi, 100 casi dal 2000 ad oggi. Turni massacranti per la carenza di personale, condizioni lavorative stressanti rendono questo lavoro davvero difficile. Il carcere invece di recuperare e restituire alla società persone cambiate annienta le esistenze più fragili e le spinge alla marginalità, fino a compiere gesti estremi. Occorre ben più di una legge svuota carceri per fargli riacquistare la sua funzione rieducatrice. Bisogna investire risorse, ed energie. Ma sappiamo come questo tema sia impopolare.
"Chi salva una vita salva il mondo intero", è scritto nel Talmud. Anche se si tratta di quella di un detenuto.

giovedì 20 febbraio 2014

Missouri: I legali di alcuni condannati bloccano la fornitura di pentobarbital



Il Missouri e' a caccia di veleni a otto giorni dall'esecuzione di un detenuto nel braccio della morte, mentre in Georgia i rappresentanti del governo statale stanno cercando di ottenere dalla magistratura che i fornitori delle sostanze che uccidono sul lettino dell'iniezione letale siano coperti dal "segreto di stato".

Gli avvocati di Michael Taylor, il condannato a morte che il 26 febbraio deve essere ucciso nello stato natale di Mark Twain, sono riusciti a ottenere da Apothecary Shoppe, il laboratorio farmaceutico dell'Oklahoma che avrebbe dovuto consegnare la dose extralarge di pentobarbital al dipartimento delle prigioni, lo stop della fornitura, una decisione che ha lasciato il Missouri
in un limbo. 

Le scorte di pentobarbital approvate dal governo federale per l'uso nelle esecuzioni si sono esaurite negli Usa dopo il bando guidato dall'Europa e dopo che a laboratori, come appunto Apothecary Shoppe, sono state legate le mani da azioni legali come quella degli avvocati di Taylor.

I tentativi delle autorita' penitenziarie di mantenere il segreto sul cocktail letali sta provocando una raffica di azioni legali: in Georgia gli avvocati di Warren Hill, nel braccio della morte dopo il rinvio dell'esecuzione, si sono sentiti replicare dalle autorita' statali davanti alla Corte Suprema che i fornitori dei veleni dovrebbero esser coperti da "segreto di stato". 

Cosi' anche in Ohio, Oklahoma, Louisiana e Texas: i legali di condannati stanno creando una serrata campagna perche' - come ha spiegato Cheryl Pilate, la legale che ha rappresentato Herbert Smulls, messo a morte in Missouri in gennaio con una massiccia dose di pentobarbital di Apothecary Shoppe - togliere la vita a una persona "e' materia di estrema gravita' e che questo accada dietro un muro di segretezza e' interamente inaccettabile". 
Intanto il governatore del Missouri Jay Nixon ha lasciato capire che suo stato qualche scorta segreta alternativa forse ce l'ha, visto che ha ribadito che l'esecuzione del condannato andra' avanti come previsto: potrebbe trattarsi del mix di madapolam e idromorfone, le due sostanze che in gennaio sono
state usate in Ohio per uccidere Dennis McGuire in una procedura di 26 minuti che ha scioccato i testimoni e fatto il giro del mondo.  
Taylor, un nero di 47 anni, deve finire sul lettino dell'iniezione per aver ucciso nel 1989 una ragazzina di 15. 

(ANSA - NEW YORK, 19 FEB )

mercoledì 19 febbraio 2014

Emergenza carceri e sovraffollamento: convertito in legge il decreto "svuotacarceri"

Piu' diritti ai detenuti ma soprattutto misure per sfoltire le carceri. Come l'ampliamento dell'affidamento in prova o uno 'sconto di pena' ulteriore, boss
esclusi, ai piu' meritevoli. E' quanto prevede il decreto 'svuotacarceri' licenziato dal parlamento, in risposta all'Europa dopo la sentenza 'Torreggiani' che ha condannato l'Italia. Tra le norme, spiccano il reato autonomo di piccolo spaccio e incentivi all'uso dei braccialetti elettronici e all'espulsione degli
stranieri in galera. Ecco, in sintesi, le principali novita'.
   BRACCIALETTI ELETTRONICI - Gli strumenti elettronici di controllo saranno la regola, non piu' l'eccezione. Oggi, nel disporre i domiciliari, il giudice li prescrive solo se necessari; da domani dovra' prescriverli in ogni caso, a meno che (valutato il caso concreto) non ne escluda la necessita'. Si rovescia cioe' l'onere motivazionale, con l'obiettivo di assicurare un controllo piu' costante e capillare senza ulteriore aggravio per le forze di polizia.
   PICCOLO SPACCIO - L'attenuante di lieve entita'' nel delitto di detenzione e cessione illecita di stupefacenti diventa reato autonomo. Per il piccolo spaccio, in altri termini, niente piu' bilanciamento delle circostanze, con il rischio (come e' oggi) che l'equivalenza con le aggravanti come la recidiva porti a pene
sproporzionate. Viene anche meno il divieto di disporre per piu' di due volte l'affidamento terapeutico al servizio sociale dei condannati tossico/alcool dipendenti. Ai minorenni tossicodipendenti accusati per piccolo spaccio sono applicabili le misure cautelari con invio in comunita'.
AFFIDAMENTO IN PROVA - Si spinge fino a 4 anni il limite di pena (anche residua) che consente l'affidamento in prova ai servizi sociali,  ma su presupposti piu' gravosi (periodo di osservazione) rispetto all'ipotesi ordinaria che resta tarata sui 3 anni. Si rafforzano inoltre i poteri d'urgenza del magistrato di sorveglianza.
   LIBERAZIONE ANTICIPATA SPECIALE - In via temporanea (dal 1 gennaio 2010 al 24 dicembre 2015) sale da 45 a 75 giorni a semestre la detrazione di pena concessa con la liberazione anticipata. L'ulteriore 'sconto', che comunque non vale in caso di affidamento in prova e detenzione domiciliare, e' tuttavia
applicato in seguito a valutazione sulla 'meritevolezza' del beneficio. Sono in ogni caso esclusi i condannati di mafia o per altri gravi delitti (come omicidio, violenza sessuale, rapina aggravata, estorsione).
   DETENZIONE DOMICILIARE - Acquista carattere permanente la
disposizione che consente di scontare presso il domicilio la pena detentiva (anche se parte residua) non superiore a 18 mesi. Restano ferme, peraltro, le esclusioni gia' previste per i delitti gravi o per altre particolari circostanze (ad esempio, la possibilita' di fuga o la tutela della persona offesa).
ESPULSIONE DETENUTI STRANIERI - E' ampliato il campo dell'espulsione come misura alternativa alla detenzione. Non solo vi rientra  (come e' oggi) lo straniero che debba scontare 2 anni di pena, ma anche chi e' condannato per un delitto previsto dal testo unico sull'immigrazione purche' la pena prevista non sia superiore nel massimo a 2 anni e chi e' condannato per rapina o
estorsione aggravate. Oltre a delineare i diversi ruoli del direttore del carcere, questore e magistrato di sorveglianza, viene velocizzata gia' dall'ingresso in carcere la procedura di identificazione per rendere effettiva l'esecuzione
dell'espulsione.
   GARANTE DEI DETENUTI - Presso il ministero della Giustizia e' istituito il Garante nazionale dei diritti dei detenuti. Un collegio di tre membri, scelti tra esperti indipendenti, che resteranno in carica per 5 anni non prorogabili. Compito del Garante nazionale e' vigilare sul rispetto dei diritti umani
nelle carceri e nei Cie. Puo' liberamente accedere in qualunque struttura, chiedere informazioni e documenti, formulare specifiche raccomandazioni all'amministrazione penitenziaria. Ogni anno il Garante trasmette al Parlamento una relazione sull'attivita' svolta.
   RECLAMI E DIRITTI - Si va dall'ampliamento della platea di destinatari dei reclami in via amministrativa a maggiori garanzie giurisdizionali nel reclamo davanti al giudice contro sanzioni disciplinari o inosservanze che pregiudichino diritti. In particolare, e' prevista una procedura specifica a garanzia
dell'ottemperanza alle decisioni del magistrato di sorveglianza da parte dell'amministrazione penitenziaria.

http://www.lastampa.it

Papa Francesco incontra in Vaticano i detenuti di Pisa e Pianosa

Papa Francesco ha incontrato questa mattina 19 detenuti delle carceri di Pisa e Pianosa a Santa Marta. L'incontro,non programmato, si e' protratto per oltre tre quarti d'ora, apprende l'ANSA. Francesco ha salutato e benedetto uno a uno i detenuti, dai presenti il momento e' stato definito  "bellissimo" e "commovente".(ANSA).


I 19 detenuti incontrati dal Papa partecipano a un percorso spirituale nell'ambito del quale i cappellani delle
rispettive carceri li hanno accompagnati oggi, giorno dell'udienza generale, in pellegrinaggio a Roma. Prima dell'udienza, come ha raccontato all'ANSA mons. Lorenzo Baldisseri, futuro cardinale e segretario
del sinodo dei vescovi, anche lui presente nell'occasione, si sono recati nelle Grotte vaticane per una messa. E' in questo momento, intorno alle 9, che il Papa, informato della loro presenza, ha deciso di incontrarli a parte, prima di uscire in piazza San Pietro per l'udienza generale e li ha cosi' accolti alla Domus Santa Marta. "Un incontro bellissimo, commovente - ha riferito mons. Baldisseri -. Il Papa ha voluto salutarli e benedirli uno ad uno, li ha molto incoraggiati, il suo e' stato un segno di grande paternita' spirituale nei confronti di persone che sono profondamente impegnate in un percorso spirituale". I detenuti erano accompagnati, oltre che dai cappellani, anche da due suore e dai magistrati di sorveglianza. (ANSA).

martedì 18 febbraio 2014

Zimbabwe: amnistia per 2.000 detenuti. La condizione difficile di molte prigioni africane

 Le autorità dello Zimbabwe hanno annunciato un'amnistia di cui beneficeranno circa 2.000 detenuti, per lo più donne e bambini. Le donne prigioniere saranno liberate, tranne quelle condannate al carcere a vita o alla pena di morte. 

Fuori dalle prigioni anche i malati terminali, i detenuti oltre i 70 anni, i minorenni e i condannati a pene definitive inferiori ai tre anni, che abbiano scontato un quarto della loro pena. Sono esclusi dal provvedimento di amnistia i condannati per omicidio, stupro, rapina, furto di bestiame.

Simili provvedimenti sono decisivi in carceri come quelle di molti paesi africani dove la povertà è particolarmente dura. 

La dura condizione di molti prigionieri

Spesso nelle celle non c’è aria, non c’è luce elettrica, spesso non c’è acqua. In alcune prigioni non ci sono letti, spesso si dorme per terra, nel fango, a volte non c’è spazio neanche per permettere a tutti di sdraiarsi contemporaneamente, il sapone e gli indumenti sono difficili da trovare. 

Le condizioni igieniche sono pessime e le epidemie si diffondono facilmente, molti muoiono così, senza cure. Il cibo, già scarso in molti paesi africani a causa della povertà, in carcere talvolta è assente e alcuni muoiono di stenti. 

Gran parte dei detenuti resta in attesa di giudizio per lungo tempo perché non è in grado di pagare l’avvocato che permetterà l’inizio del processo. 

La campagna “Liberare i prigionieri” proposta dalla Comunità di Sant'Egidio.

Con piccole offerte è possibile aiutare e alleviare le terribili condizioni di detenzione di molti prigionieri. 

La campagna "Liberare i prigionieri" in questi anni ha permesso di raggiungere i prigionieri e di acquistare materassi, prodotti per l'igiene, cibo e medicinali e di liberare molti che erano costretti a restare in carcere per un tempo indefinito perché dovevano pagare la tassa di estinzione della pena prevista in molti paesi anche per piccoli reati. 





lunedì 17 febbraio 2014

Presentazione del libro "I racconti di Papa Francesco" a Regina Coeli


“I racconti di Papa Francesco” è il libro in cui Rosario Carello ha raccolto ottanta racconti, anche inediti, sulla vita di Papa Bergoglio. Alcuni di questi sono stati oggi al centro dell'attenzione di una vivace presentazione nel carcere di Regina Coeli, grazie alla Comunità di Sant'Egidio che ha organizzato l'incontro. L'incontro con Rosario Carello è stato una preziosa opportunità per conoscere meglio il pensiero e il cuore del Vescovo di Roma. Applausi e commozione di molti hanno caratterizzato il pomeriggio.

Alla fine della presentazione un Rosario Carello visibilmente emozionato ha confidato ai presenti : "Sono andato a portare questo mio libro al Papa, lui rideva come a dire ecco l'ennesimo libro, ma quando gli ho detto che lo avrei portato nelle
Rosario Carello con Papa Francesco
carceri e che volevo portare un suo messaggio ai detenuti si è fatto serio.  "Devi dire loro" - mi ha detto - "di pregare sempre per me, perché ne ho bisogno, che io prego per loro e che li porto nel cuore!"





























http://www.rosariocarello.it/

Indonesia: Sant'Egidio con i detenuti del carcere di Cebongan a Yogyakarta

"Una giornata indimenticabile", quella che la scorsa settimana i detenuti del carcere di Cebongan, nella città di Yogyakarta in Indonesia, hanno vissuto insieme agli amici della Comunità di Sant'Egidio, con una liturgia e un pranzo sentito da tutti "come di famiglia".
Un momento speciale e tanto atteso: previsto inizialmente per Natale, il pranzo è stato realizzato solo a febbraio a causa della difficoltà a ottenere il permesso dalle autorità del penitenziario. La fedeltà con la quale la Comunità di Sant'Egidio di Yogyakarta visita i detenuti ha convinto le autorità, che alla fine hanno concesso il
permesso di realizzare il pranzo e di celebrare la liturgia all'interno del carcere.L'evento è stato accolto con gioia dai detenuti: "anche se è febbraio, questo è stato il nostro primo pranzo di Natale qui: grazie!". Un pranzo che è segno di un'amicizia e di una vicinanza che vanno oltre le barriere, anche quelle alte del carcere.

http://www.santegidio.org/pageID/




Arkansas blocca le esecuzioni! L'America fa un altro passo indietro

Tutti gli Stati americani che praticano la pena di morte sono coinvolti nel problema del metodo di applicazione della pena capitale. La legge vigente parla di barbiturici per svolgere le esecuzioni ma non precisa quali e non fornisce indicazioni sul personale che pratica l'iniezione. Il Giudice Wendell Griffen ha dato ragione ai 
condannati a morte che hanno chiesto la sospensione delle esecuzioni in Arkansas. 

La Comunità di Sant'Egidio auspica che la controversia si risolva, che non si violi ancora l'8° emendamento che protegge da una “punizione crudele ed insolita" e che presto la pena di morte venga sospesa in tutti gli Stati.

da Il Messaggero

L’America si allontana sempre un poco di più dalla pena di morte e questa volta tocca all’Arkansas fare un passo indietro. Un giudice dello Stato venerdì 14 febbraio ha deciso di bloccare tutte le esecuzioni previste fino a quando la legge sull’esecuzione del metodo di applicazione della pena capitale non venga rivisitata. Questa decisione segna un capitolo importante nella controversia sulle iniezioni letali nella quale si trovano coinvolti tutti gli Stati americani che praticano la pena di morte.

Il giudice Wendell Griffen ha deciso di dare ragione ai nove condannati a morte i quali hanno chiesto la sospensione delle condanne in Arkansas. Il giudice infatti ha stimato che la legge del 2013 sulle procedure di esecuzione manca di “linee direttrici” e che “la legge non correggerebbe i vizi di quella precedente” spiega Jeff Rosenzweig, avvocato di uno dei detenuti.

Questa legge infatti si limita ad ordinare alle autorità penitenziarie di utilizzare dei barbiturici per svolgere le esecuzioni ma non precisa quali, e non parla neppure della formazione che il personale deve seguire per svolgere l’iniezione. I condannati lamentano dunque la violazione dell’8o emendamento che protegge da una “punizione crudele ed insolita” secondo Rosenzweig.

Nessuna esecuzione era comunque prevista a breve nello Stato che ha nel suo braccio della morte 298 condannati ma dal 2005 non svolge più esecuzioni.

Secondo il rapporto annuale pubblicato dal Centro d’informazione sulla pena di morte (DPIC), infatti, sono 39 le condanne totali eseguite nel 2013 negli Usa, contro le 43 del 2012. Il calo è dovuto alla decisione di diversi Stati di abbandonare l’esecuzione letale, come Maryland, Connecticut, Illinois, New York, New Jersey e Nuovo-Messico. Nel 2013, il Maryland è diventato il 18esimo Stato a votare per questa abolizione. Altri invece hanno optato per una moratoria.

domenica 16 febbraio 2014

Come si vive in un carcere sovraffollato. Con le pene alternative la società è più sicura


Carceri: in cella tutta la pena aumenta la recidiva! 
Con pene alternative società più sicura.
Il Sole 24 Ore 
di Roberto Galbiati e Donatella Stasio

Chi va con lo zoppo impara a zoppicare, recita un antico proverbio. E la saggezza popolare trova riscontro in vari studi di economisti - italiani e internazionali - su carcere e recidiva. Gli scienziati sociali lo chiamano «effetto dei pari» ed è la conclusione a cui giungono dopo una serie di studi quantitativi sulla propensione alla recidiva, cioè sulla probabilità di tornare a commettere altri reati e di rientrare in galera. 

Insomma, il carcere è una scuola criminale: quando entrano, i condannati rafforzano i legami con altri detenuti e allentano quelli con il resto della società; quando escono dal carcere dopo aver scontato la pena, gli ex detenuti diventano reciprocamente un punto di riferimento, influenzandosi a vicenda.

Ben lungi dall'essere affermazioni apodittiche, queste conclusioni sono il risultato, ottenuto empiricamente, di una serie di ricerche che ormai da qualche decennio studiosi di varie parti del mondo portano avanti utilizzando le migliori tecniche di indagine quantitativa. 

Risultati preziosi in questo delicato passaggio politico-parlamentare sul carcere, perché smentiscono luoghi comuni e allarmismi in nome della sicurezza, che partono da un'idea distorta di "certezza della pena", intesa non come "certezza della qualità della pena" ma come pena da scontare interamente chiusi "dentro", a doppia mandata. 

E più sono le mandate, più "fuori" ci si sente sicuri. 

Al contrario, gli studi economici dimostrano che il carcere "chiuso" produce soltanto altro carcere e che il sovraffollamento (con il suo carico di promiscuità, invivibilità, degrado, insalubrità e morti, che si porta dietro) è un moltiplicatore della recidiva. Dunque, non "conviene" alla sicurezza collettiva.

Piuttosto, è sulle misure alternative alla detenzione (scorrettamente equiparate a "libertà" o a "premi") che bisogna puntare per ridurre la recidiva. In questa direzione si muovono le misure legislative in corso di approvazione (dopo il via libera della Camera, il decreto "svuota carceri, che decade il 21 febbraio, è ora all'esame del Senato). 

Ma il passo è ancora claudicante perché ancora è troppo radicata la cultura carcero-centrica nonché l'idea, supportata da uno strepitìo politico di fondo, che le misure alternative siano un regalo ai delinquenti e che solo il carcere garantisca la quiete degli onesti. 

Il problema non è limitato all'Italia. L'aumento della popolazione carceraria è ormai una costante in molti paesi occidentali. 

Negli ultimi trent'anni i detenuti sono cresciuti di oltre sei volte negli Stati Uniti e sono raddoppiati in molti paesi europei, fra cui Italia e Francia. 

Effetto automatico dell'aumento della popolazione carceraria è l'incremento sia delle persone alla prima esperienza di carcere sia dei recidivi. 

Di fronte a questo fenomeno è quindi lecito chiedersi se il carcere svolga o meno la sua funzione di "riabilitazione" o funga soltanto da parcheggio, dove soggetti ritenuti pericolosi o indesiderabili vengono isolati per un periodo più o meno lungo dal resto della società. In altre parole, la prima domanda è se il carcere riesca a favorire il reinserimento sociale o sia soltanto uno strumento di controllo attraverso l'incapacitazione dei detenuti.



       Il video di Gazebo dal carcere di Regina Coeli


sabato 15 febbraio 2014

Shujaa Graham: la strada per la libertà è da quella parte

Riproponiamo una bellissima intervista rilasciata a Repubblica nel 2006.  Shujaa Graham da tanti anni è amico della Comunità di Sant'Egidio e testimone della assurdità della pena capitale. 

Riconosciuto innocente dopo 13 anni trascorsi nel braccio della morte oggi viaggia e racconta.



"I miei anni da condannato a morte e lo choc della vita all'improvviso"

di EMANUELA AUDISIO

TI PERDI quando ritrovi la vita. È allora che capisci il furto, quando ti restituiscono il futuro, non sei più un condannato a morte, ma uno che deve imparare ad esistere. Sei fuori, sei libero. Bello, bellissimo, così tanto da far male. Ti pieghi in due, ti inginocchi, ti prendi la testa tra le mani: devi uscire dal braccio della morte, però prendi tempo, sei stato in quella cella per quasi dieci anni, dovresti aver voglia di correre fuori, invece ti fermi, ti manca il respiro, non è il boia a togliertelo, ma la vita che ti torna addosso con urgenza. 

"La guardia mi ha chiesto: ancora qui? Io gli ho risposto: adesso aspetti tu. Sono stato in trance per un'ora, non avevo più fretta. Ero entrato in galera a 18 anni, ne uscivo a 31. Prosciolto dall'accusa di omicidio, dopo 4 processi". Shujaa Graham, americano, è il ventesimo condannato a morte riconosciuto innocente e liberato. Degli uomini perduti, lontani dalla misericordia del mondo, si sa quasi tutto. Le ore trascorse con gli occhi fissi nel vuoto, l'agitazione che prende quando pensi alla forca, l'umiliazione dei giorni che diventano lastre di ghiaccio. 


"Sono nato in Louisiana nel '51, figlio di raccoglitori di cotone, eravamo 5 fratelli e 2 sorelle, da mangiare per tutti non c'era, così i miei si sono trasferiti in California, io sono rimasto con la nonna. Quando mio padre ha trovato un posto da muratore l'ho raggiunto a Los Angeles, zona di South Central, anzi zonaccia. Rubavo macchine, la mia gang sarebbe diventata quella dei Crips. Ero un ragazzaccio. A 18 sono finito in riformatorio, quattro anni dopo sono stato arrestato per una rapina di 35 dollari in un negozio. E condannato all'ergastolo. L'accusa sosteneva che io ero armato. Prigione di Soledad, un'altra San Quintino. In galera mi sono politicizzato, ho imparato a leggere e a scrivere, Malcom X mi stava più simpatico di Martin Luther King. Nel novembre del '73 durante una rivolta carceraria è stata un'uccisa una guardia bianca a pugnalate. Testimoni ai quali erano stati promessi sconti e soldi hanno detto che il colpevole ero io. Parlavo dell'oppressione dei neri, lottavo per i diritti civili, dicevo che Rosa Parks aveva fatto benissimo a non cedere il suo posto sul bus ai bianchi, e non perché fosse vecchia e stanca, figurarsi aveva solo 37 anni. Ero l'accusato ideale: nero e rompiscatole. Fa niente se in carcere venivo bastonato dalle guardie, bianchi reduci dal Vietnam, ormai fuori di testa. Avevo precedenti e così mi condannarono a morte: un fetente in meno. Appena arrivato in cella mi fecero visitare da uno psichiatra: lei è scosso, mi disse, e mi prescrisse vari di farmaci. Aggiunse: vedrà, queste pillole la calmeranno. Già, lo stress della morte. La mia fortuna è stata aver buttato via quella robaccia. Meglio lo yoga". 

Graham oggi vive nel Maryland, gestisce una piccola compagnia che si occupa di giardinaggio, ha moglie, conosciuta in carcere, dove faceva l'infermiera, e tre figli, due ragazze e un maschio. 

"In isolamento devi darti un programma, trovare un ritmo, non hai orologi, il tuo tempo è deciso dalle regole carcerarie. Mi svegliavo, facevo colazione, poi ginnastica, poi leggevo, alle quattro veniva servita la cena. Terribile, anche perché sono vegeteriano: con gli altri detenuti scambiavo la carne per verdure. E ne nascondevo un po' per la sera, anche perché di pomeriggio non è che hai una gran fame. La posta la portano all'imbrunire: è il momento più bello, quello dove c'è più eccitazione. Soprattutto se hai qualcuno che ti scrive, altrimenti ti rassegni a dividere le lettere degli altri. Nel braccio della morte si sta meglio che in prigione, hai più vantaggi, dato che devi crepare sono più gentili: puoi avere altri libri, oltre alla Bibbia, e io mi facevo mandare saggi politici e sociali, puoi ascoltare la radio e vedere una piccola tv. Una sera del '79 mi viene un accidente: vedo sullo schermo la faccia di uno che assomiglia a me, dicono il mio nome, la Corte Suprema della California ha deciso di cambiare verdetto, non devo più morire. Mi batto per la revisione del processo, nel terzo la giuria è spaccata a metà, non riesce a decidere, nel quarto vengo finalmente assolto. Mi dicono: esci, la strada per la libertà è da quella parte. Io mi avvio verso la cella, voglio riflettere, mi manca il respiro. Mi guardo: la barba è diventata bianca, tanti miei amici non ci sono più, mio padre è morto, non sono andato al suo funerale, il tempo è passato. Fitta, dolore, amarezza. Eppure dovrei essere felice, che altro voglio?". 

La vita, fuori. All'improvviso. "Riabituarsi è dura. La benzina costava 30 centesimi, la ritrovo a un dollaro. Le macchine vanno più veloci, tutto corre, non sono abituato alle tastiere del computer, al cellulare. Sembra una stupidata, ma mi ritrovo incapace, quasi invalido. Mi allaccio le scarpe e mi viene voglia di piangere. Per la speranza rubata. Che io ho riavuto, ma altri no. Per la sofferenza di quelli che non hanno evitato il boia. La sento mia, fino in fondo. È un veleno che non riesci a eliminare, è come essere seppelliti e poi togliersi via la terra. Non ce la fai del tutto, ti resta sempre qualche granello. La pena di morte puzza, inquina la libertà, per questo va eliminata". 

La Repubblica, 29 novembre 2006

venerdì 14 febbraio 2014

Lettere dal braccio della morte

da Famiglia Cristiana pubblichiamo volentieri un testo scritto da un detenuto condannato alla pena capitale in California, si chiama Fernando Caro, è possibile scrivergli attraverso il Comitato Paul Rougeau (prougeau@tiscali.it)

Come Fernando, migliaia di condannati alla pena capitale in tutto il mondo hanno bisogno di sostegno e di amicizia. C’ è bisogno di persone che si attivino, mettendo a disposizione un po’ del loro tempo, per aiutarli e per arrivare all’abolizione universale della pena di morte: ormai sono una minoranza i Paesi attaccati questa macabra istituzione del passato. 


Nel sito santegidio.org le indicazioni per scrivere a un condannato a morte.



«Nel braccio della morte, la saggezza e il senno del poi possono soltanto
aggiungere un po’ di auto-punizione alla punizione già in essere.
Il braccio della morte non è il luogo ideale in cui trascorrere il resto della vita. Anni di attesa! Anni durante i quali non sai quando, e se, verrà il momento dell’esecuzione. Il momento in cui persone che ti considerano meno dell’immondizia ti pianteranno un grosso ago nel braccio. L’ultima cosa che vedrai sarà un soffitto bianco, mentre giacerai sulla schiena, chiedendoti che cosa proverai quando la prima sostanza verrà iniettata nel tuo corpo. Legato al lettino da molte cinghie, impossibilitato a muoverti, non potrai neppure grattarti se ti sentirai prudere. La bocca riarsa, solo con i tuoi pensieri, sapendo che la tua vita sta arrivando ad una fine non voluta! 

Almeno, ti dirai, tutta la tempesta interiore e lo stress, e soprattutto l’attesa, finiranno! Smetterai di sperare di non essere giustiziato. Avresti mai immaginato, da giovane, di ritrovarti un giorno in una stanza della morte legalizzata dallo stato? Io sto nel braccio della morte da trent’anni e mi sono posto questa domanda tante volte, troppe per ricordarmi quante siano. Quando arrivai qui, non riuscivo ad accettare di essere stato condannato a morte. Entro poche settimane, però, cominciai a rendermi conto che questa eventualità può diventare concreta. Che la morte è una piccolissima cella in cui ti svegli ogni mattina. Non puoi lasciarla, voltarle le spalle, o chiudere gli occhi per impedirle di osservarti malignamente! Quelli che non riescono ad adattarsi alla condanna a morte, che pende su di loro come la spada di Damocle, finiscono per suicidarsi. Altri lottano con l’idea della condanna, e invecchiano prima del tempo. Ci sono tuttavia anche uomini che riescono ad affrontare bene la situazione, accettandola, non potendo fare di meglio.
So che tutti questi casi si verificano perché li constato ogni anno intorno a me. Naturalmente, nessuno sa veramente che cosa passi nella mente di un condannato a morte. Il tormento di dover aspettare un altro giorno. La libertà è solo un sogno! Sopravvivere ricordando quando potevi camminare lungo una strada, senza indossare catene, e senza il timore che qualcuno ti spari! Che ti spari una guardia carceraria che non si farebbe nessun problema a toglierti la vita! 

Tutti questi pensieri, emozioni, dubbi, paure, limitazioni, sono frammischiate in una fredda realtà che ti congela in una condizione stagnante di limbo. Non contano eventuali buoni proposti che puoi aver fatto nella tua vita. Non hanno più alcuna importanza quando finisci nel braccio della morte. La società ti considera, in qualità di condannato a morte, come un mostro, per la cui vita non merita preoccuparsi. Come ho detto, il braccio della morte non è un luogo in cui trascorrere il resto della vita. Specialmente se ritieni di valere qualcosa. 

Scrivo tutto questo per esperienza diretta. Tanta esperienza! L’esperienza porta saggezza, e molto senno del poi riguardo a ciò che avremmo dovuto fare. Nel braccio della morte, però, la saggezza e il senno del poi possono soltanto aggiungere un po’ di auto-punizione alla punizione già in essere."

Fernando Eros Caro, dal braccio della morte di San Quentin - California

giovedì 13 febbraio 2014

L'esecuzione di Hashem Shabaninejad poeta iraniano

Hashem Shabaninejad, poeta iraniano
L’esecuzione di un poeta in Iran: era stato accusato di essere "nemico di Dio".  Hashem Shabaninejad era molto popolare nel Khuzestan e difendeva i diritti della minoranza araba.

Il Centro di Documentazione dei Diritti Umani in Iran – organizzazione no-profit con base nel Connecticut, negli Stati Uniti (IHRDC la sigla in inglese) – ha raccontato le esecuzioni di due attivisti arabi in Iran: secondo l’IHRDC si tratta dei due attivisti Hashem Shabaninejad e Hadi Rashedi, entrambi provenienti da Ramshir, nella provincia occidentale iraniana del Khuzestan, ed entrambi condannati alla pena di morte per essere “nemici di Dio”. Da quando Hassan Rouhani è diventato il nuovo presidente dell’Iran, scrive IHRDC, le esecuzioni compiute dallo stato sono state circa 300, molte ai danni della minoranza araba (gli arabi sono il 2 per cento circa della popolazione, mentre i persiani, il gruppo etnico dominante in Iran, sono oltre il 60 per cento). Dall’inizio del 2014, ha detto invece Amnesty International, le esecuzioni sono state oltre 40.
Hashem Shabaninejad, 32 anni, era un popolare poeta locale e un attivista impegnato nella difesa dei diritti della minoranza araba nel Khuzestan. Aveva fondato Al Hiwar (Il dialogo, in arabo), un centro per la diffusione della cultura araba le cui attività erano state bandite dal governo iraniano nel 2005. Shabaninejad era stato incarcerato nel marzo del 2011 con l’accusa di essere un “mohareb”, una figura giuridica che non ha equivalenti nel diritto internazionale ma che può essere tradotto appunto come “nemico di Dio”. Un anno dopo aveva fatto un’apparizione a Press TV, la televisione di stato iraniana controllata dal regime, in cui aveva confessato di avere partecipato ad attività terroristiche con scopi separatisti. Nel luglio del 2013 un tribunale islamico rivoluzionario lo ha condannato a morte insieme ad altre 13 persone, tra le quali c’era anche Rashedi, per «essere nemico di Dio, diffondere corruzione, fare propaganda contro la Repubblica Islamica e agire contro la sicurezza nazionale». Le esecuzioni delle condanne sono state poi confermate dal ministro dell’Informazione iraniano alle famiglie dei due attivisti, ha scritto BBC Arabic.
Nel 2013 il governo iraniano ha eseguito 624 condanne a morte, circa un centinaio in più rispetto al 2012: l’accusa più frequente è stata il coinvolgimento dei condannati in traffici illegali di droga. Secondo diversi esperti e organizzazioni per la difesa dei diritti umani, tuttavia, le condanne a morte sono state pronunciate per colpire i dissidenti politici, specialmente tra le minoranze etniche del paese: per esempio nel novembre 2013 è stata eseguita la condanna a morte dell’attivista curdo Sherko Moarefi, accusato anch’egli di essere un “mohareb” e di appartenere al gruppo di sinistra Komala, considerato dal regime un movimento terrorista. L’Iran oggi è il paese con il più alto numero di esecuzioni per abitante al mondo.
Finora l’elezione alla presidenza dell’Iran di Rouhani non ha avuto l’effetto di provocare una diminuzione delle esecuzioni capitali. Diverse organizzazioni umanitarie lo speravano: Rouhani è visto infatti come il responsabile del processo di riavvicinamento all’Occidente compiuto dal regime iraniano nel corso degli ultimi mesi ed è considerato su diversi temi molto più moderato del suo predecessore, Mahmud Ahmadinejad.

mercoledì 12 febbraio 2014

Come cambia il pensiero sulla pena capitale negli Stati Uniti. Moratoria nello stato di Washington


Il Governatore del Washington Inslee ha firmato la moratoria della pena di morte nella speranza che il suo gesto permetta allo Stato di unirsi a quella che ha definito "una crescente discussione nazionale sulla pena capitale". Da ora se una condanna a morte arriverà sulla sua scrivania, deciderà un rinvio, che non costituirà una grazia e non trasformerà la sentenza, ma immetterà in un cambiamento di pensiero. La pena di morte è diventata  imbarazzante  e sembra che George Lombardi, direttore del sistema carcerario del Missouri abbia difficoltà a trovare chi voglia fare il mestiere di boia e debba nasconderne l'identità. Procedura irregolare per l'acquisto dei farmaci per l'iniezione letale da un'azienda dell'Oklahoma, lo scrive il St.Louis Post-Dispatch. Dal 1976, il Missouri ha condotto 71 esecuzioni e i condannati in attesa nel braccio della morte sono 48.
Jay Inslee, il Governatore


http://www.reuters.com/article/2014/02/11/us-usa-executions










THE NEW YORK TIMES

martedì 11 febbraio 2014

Vescovi in carcere: con la Comunità di Sant'Egidio visitano i detenuti di Regina Coeli

Foto di gruppo con i vescovi sui famosi "scalini" di Regina Coeli

Presenti a Roma in occasione del 46° anniversario della Comunità di Sant’Egidio per il XVI Incontro Internazionale “Cristiani e Pastori per la Chiesa di domani” oltre cento i vescovi provenienti da diverse aree del mondo, in particolare Africa, Asia e America latina oltre naturalmente all’Italia e all’Europa. 

http://www.santegidio.org//La_gioia_del_Vangelo_Incontro_internazionale_di_vescovi_a_Sant_Egidio.html

Ieri una visita straordinaria al carcere di Regina Coeli. Ventiquattro vescovi provenienti dal Rwanda, dal Congo, dall'India, dal Belgio, dalla Nigeria, dall'Argentina, dal Niger, dal Camerun, da Haiti e dalla Romania hanno reso una visita ai detenuti del carcere di Regina Coeli.

Non era mai accaduto prima, lo ha detto il Provveditore alle carceri del Lazio dott.ssa Di Paolo, ringraziando per l'avvenimento e per il sostegno spirituale che questa visita porterà ai reclusi, "Vi siamo grati per questa vostra visita e sono sicura che i detenuti che incontrerete vi manifesteranno tanta gioia e gratitudine". Ringraziamento ribadito dal direttore dott. Mauro Mariani che ha ringraziato per l'attenzione alla difficile situazione delle carceri, dicendosi onorato per una così importante visita. Il Cappellano Padre Vittorio Trani, che segue il carcere di Regina Coeli da 35 anni, ha ricordato il valore di queste visite e ha spiegato che l'animo di chi è recluso nella sofferenza per la condizione di isolamento e solitudine si eleva necessariamente nella ricerca di Dio, ha poi concluso dicendo che per degli uomini fede il carcere è luogo per eccellenza dove incontrare Cristo. 

Presenti anche le vicedirettrici dell'Istituto e gli educatori, guidati dalla Capo Area Educativa dott.ssa Marras, che si è fatta carico di gran parte dell'organizzazione dell'evento. Per realizzare una visita di questo tipo, che ha visto la presenza contemporanea di 4 o 5 vescovi in ogni sezione, in un Istituto in carenza cronica di personale, è stata necessaria la presenza di un numero sufficiente di agenti di polizia penitenziaria per aprire le celle detentive e permettere l'incontro. Ciò è stato possibile grazie alla disponibilità dell'Amministrazione e del personale della Polizia Penitenziaria. Il giro delle sezioni è stato infatti capillare e ha permesso ai vescovi di incontrare, salutare e benedire proprio tutti i detenuti di Regina Coeli!

La visita dei vescovi ha trovato i detenuti sulle loro brande, molti erano al
buio e dormivano, erano le 17. La visita ha portato sorpresa e gioia. In una cella di tutti stranieri poveri: “Noi stiamo qui, non abbiamo niente, le nostra famiglie sono lontane, solo ogni tanto abbiamo le cose per cucinare in cella, la vostra visita è un grande regalo”. In un'altra cella, ringraziando i visitatori: “Siamo onorati della vostra presenza, noi siamo in difficoltà ma nella cella viviamo in pace e ci aiutiamo".

I vescovi dello Sri Lanka e Indonesia hanno raccontato della lunga guerra in Sri Lanka, dello tsunami e del terremoto in Indonesia, un detenuto ha risposto: "Voi, come noi, conoscete bene la sofferenza”. 
In un'altra sezione un vescovo, dopo aver benedetto i dieci detenuti ospiti di una saletta ricreativa, riempita a dismisura causa del sovraffollamento, ha detto: "Vi benedico tutti e prego che quando uscirete da qui non entrerete più"
un detenuto albanese gli ha risposto a nome di tutti: "La tua parola è nel cuore di Dio!".

Alcuni vescovi africani hanno ripetuto a tutti:  "Abbiamo voluto incontrarvi personalmente per ricordare i vostri volti quando preghiamo per voi". 


La visita è stata una sorpresa per i detenuti, ma per uno di loro ha avuto un significato del tutto speciale. Subito dopo aver ricevuto la benedizione di due vescovi, infatti, è stato chiamato “liberante”, come si dice in linguaggio carcerario, ha cioè ricevuto l’ordine di scarcerazione dalla direzione che aspettava da una settimana. Inutile dire quale gioia per tutto il reparto e quante richieste ai vescovi per visitare tutte le altre celle!
Il carcere, luogo per eccellenza di isolamento e emarginazione,  può essere trasformato dalla visita di qualcuno che viene da fuori, lo si vede bene nei momenti di festa come nel pranzo di Natale che tutti gli anni la Comunità di Sant'Egidio offre ai detenuti.
La condizione di "carcerato" è innaturale, non-umana. Alcuni uomini e alcune donne reclusi non ricevono mai visite. La visita in carcere dunque vuol dire rifiuto dell'emarginazione e dell'isolamento.
 E' quello che fanno alcuni membri di Sant'Egidio che si recano nelle carceri durante tutto l'anno, per sostenere con colloqui e con aiuti materiali, come le distribuzioni di generi di prima necessità, i detenuti più poveri.

Nelle carceri italiane infatti molti detenuti sono poveri, senza indumenti, che non ricevono nemmeno dall'amministrazione. Può capitare che chi viene arrestato in estate, finisca col rimanere in maglietta anche a dicembre.

Il valore della visita è incalcolabile, la visita crea un ponte, un legame con il mondo esterno e con il futuro. 
La visita al carcere da parte di Giovanni XXIII il 26 dicembre dei 1958