venerdì 28 giugno 2013

La Chiesa della Nigeria sulle recenti esecuzioni: "La vita è il bene più prezioso..."

 

A Benin City, la capitale dello Stato meridionale di Edo, lunedì sono state eseguite quattro condanne a morte. La massima pena nei confronti dei detenuti era stata comminata nel 1997, due anni prima della fine del regime militare e dell’inizio di un’esperienza liberal-democratica. Con un’ordinanza emessa il 16 giugno scorso, la ripresa delle esecuzioni era stata autorizzata dal presidente Goodluck Jonathan.
 
La ripresa delle esecuzioni capitali costituisce “un ritorno ai giorni più bui delle violazioni dei diritti umani in Nigeria” lo ha detto monsignor Emmanuel Badejo, il vescovo di Oyo, annunciando un'imminente nota della Conferenza episcopale sulla fine della moratoria durata sette anni. A Benin City, capitale dello Stato di Edo, lunedì sono state eseguite quattro condanne. La Chiesa nigeriana esprime la sua netta condanna: “La vita è il bene più prezioso perché gli uomini sono stati creati a immagine e somiglianza di Dio e a tutti deve essere data una possibilità di ricominciare”. Monsignor Badejo, riferendosi anche alla crisi nel nord del paese, con gli attentati del gruppo armato Boko Haram e alla repressione delle Forze armate che a volte non risparmia gli innocenti, si dice convinto che “la ripresa delle esecuzioni capitali rischia di aggravare una cultura di violenza in tempi già difficili per la Nigeria”.

giovedì 27 giugno 2013

Il Presidente della Comunità di Sant'Egidio sulla triste notizia dell'ultima esecuzione in Texas


“L’esecuzione della condanna a morte, tramite iniezione letale, di Kimberly McCarthy nel carcere di Huntsville, conferma il triste primato dello Stato del Texas con 500 esecuzioni capitali eseguite”. Lo rileva in una dichiarazione il Presidente della Comunità di Sant’Egidio prof. Marco Impagliazzo, aggiungendo che la notizia deve “produrre un incremento degli sforzi per muovere ulteriori passi verso la moratoria delle esecuzioni capitali  in tutto il mondo”. “Segnali di speranza non mancano – ha rilevato Impagliazzo -  ne sono giunti recentemente dal Maryland, da altri Stati americani e da molti africani che hanno deciso la messa al bando della pena di morte. Solo pochi giorni fa è tornata in libertà Paula Cooper, dopo 28 anni di reclusione nel carcere di Rockville in Indiana. Paula è una donna completamente diversa da quella che, a 15 anni di età, commise un crimine orrendo, ed è ora pronta a dare il suo contributo alla costruzione di una società più giusta e meno violenta. Segno che il carcere può redimere, mentre senza la vita si spegne ogni speranza. E’ questo il messaggio che i rappresentanti di 90 paesi aderenti alla Coalizione mondiale contro la pena di morte hanno approvato nel loro recente congresso di Madrid, sollecitando un rinnovato impegno per rilanciare il processo abolizionista in tutto il mondo”.

Roma, 27 giugno 2013

La dichiarazione finale del 5° Congresso Mondiale contro la pena di morte

Dichiarazione Finale del 5° Congresso Mondiale Contro la Pena di morte

Madrid – 15 giugno 2013


Noi,
partecipanti al 5° Congresso mondiale contro la pena di morte, organizzato a Madrid dal 12 al 15 giugno 2013, dall'Associazione Ensemble Contre la Peine de Mort (ECPM) con il patrocinio di Spagna, Norvegia, Svizzera, Francia e in partenariato con la Coalizione Mondiale Contro la Pena di Morte,
ADOTTIAMO la presente Dichiarazione al termine dei tre giorni di intensi dibattiti, scambi di esperienze, testimonianze, impegni di numerosi Stati abolizionisti e di diverse istituzioni e organizzazioni internazionali e intergovernamentali, e l'interesse manifestato dagli Stati retenzionisti presenti al Congresso nei confronti del movimento abolizionista mondiale;

mercoledì 26 giugno 2013

La Comunità di Sant'Egidio si unisce alla Fiacat nella Giornata contro la Tortura

Sylvie Bukari De Pontual, Presidente di FIACAT

Oggi è la Giornata Internazionale del sostegno alle vittime della tortura, la celebrano in modo particolare gli amici della FIACAT (Federazione Internazionale dell'ACAT - Azione dei Cristiani contro la Tortura) e con loro  tutti gli Acat nazionali sparsi i ogni paese del mondo. Si unisce anche "l'Associazione delle Madri contro la tortura e la pena di morte", nata per iniziativa di Tamara Chikunova in Uzbekistan. Un pensiero va oggi alle carceri delle Repubbliche centro asiatiche, dove la pena capitale è abolita per legge,
ma dove permangono terribili condizioni di vita e pericolo di morte per i detenuti e a tutti quei luoghi in cui nelle prigioni la condizione dei detenuti è intollerabile.  Insieme siamo più forti per lottare contro la tortura e la pena di morte.
Con gli amici di FIACAT ci siamo incontrati al recente
Congresso di Madrid, dove abbiamo rinnovato la nostra amicizia e la volontà di lavorare per la Giornata Mondiale delle "città per la vita".
 
 

martedì 25 giugno 2013

Con la Comunità di Sant'Egidio una gita al mare per gli internati dell'OPG


Nella difficile realtà degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari una giornata speciale, ma anche una giornata serena. La gita al mare degli internati dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Napoli, sta diventando un appuntamento fisso dell’estate sorrentina.  

Per il quarto anno consecutivo la Comunità di Sant’Egidio e gli amici dell’Opg hanno trascorso delle ore veramente straordinarie: una passeggiata all’aria aperta, un bagno nell’acqua blu e un pranzo davvero memorabile.  

Accompagnati dal direttore Stefano Martone,  dagli amici della Comunità e da alcuni operatori  dell’Asl  con il direttore sanitario Michele Pennino, in 14 si sono incamminati di buon mattino verso la meta balneare. Durante il viaggio Antonio, che da giovane andava a pescare, ha esclamato: “ Se pesco un polpo lo regalo al direttore!”.  Arrivati nell’incantevole  spiaggetta  della baia di Puolo i gitanti si sono tuffati nel mare e hanno potuto fare un bellissimo bagno.

Gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari: a che punto siamo

Sulla terribile realtà degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari si è detto tanto. La L. 180 del 1978 chiuse i manicomi.  Sopravvissero gli OPG, perché restarono in carico al Ministero della Giustizia. Nel 2008 la legge che trasferisce  la Medicina Penitenziaria dal Ministero della Giustizia al Servizio Sanitario Nazionale afferma anche il necessario superamento degli OPG, ma non fissa scadenze.   Nel 2010, con la Commissione parlamentare presieduta da Ignazio Marino la tragedia degli OPG supera la stretta cerchia degli addetti ai lavori e invade i mass-media, entra nelle case degli italiani. Nel grande pubblico si diffonde stupore e indignazione per una realtà che si credeva oggi impossibile.
Se ne discute a tutti i livelli istituzionali, fino ai ripetuti interventi del Presidente Napolitano. Nel 2012 la "Legge Marino" ne ha fissato la chiusura al marzo 2013, ma è stata già rinviata al marzo 2014. 
Padre Pippo Insana, cappellano dell'OPG
di Barcellona PG (ME) accoglie gli internati presso
la sua Casa della Solidarietà 
Ci riusciremo? La legge prevede la presa in carico da parte delle Regioni, delle ASL, e stanzia anche i fondi per i progetti sul territorio: piccole strutture psichiatriche, case famiglia, cure domiciliari, inserimenti sociali. ma i progetti non vengono definiti. Con Sant'Egidio abbiamo conosciuto la realtà degli OPG da molti anni. I nostri amici più poveri finiscono anche lì. Senza dimora, persone sole, con disturbi mentali. Li abbiamo visitati, abbiamo lavorato per il reinserimento di alcuni di loro, nelle case, nelle case famiglia. Ma non è facile trovare risposte e accoglienza. Più recentemente, dal 2007, abbiamo conosciuto meglio i due OPG campani (Secondigliano e Aversa), con visite più frequenti, con distribuzioni di generi di prima necessità, con feste e gite al mare. Con alcuni pazienti di altri OPG siamo in corrispondenza. Per costruire un futuro diverso per questi pazienti è necessario che le Regioni e le ASL se ne facciano carico, uno per uno, con progetti personali e individualizzati. Le risorse sono state stanziate, le competenze ci sono. E dove strutture e servizi faticassero ad allargare l’offerta la legge prevede risorse aggiuntive. Non sono molti. 1400 persone in tutta Italia una media di 60-70 pazienti a Regione. Numeri, ma quindi anche una grande responsabilità.
Occorre utilizzare tutte le possibilità di reinserimento. Non sono tutti uguali, non si può dare una risposta univoca. Per quelli più impegnativi sarà necessaria una assistenza maggiore, per alcuni sarà sufficiente una casa famiglia. Diversi livelli di protezione: alta media e bassa. Ma per tutti la presa in carico da parte del servizio territoriale per dire no per sempre alla segregazione e all’emarginazione.  E per creare un piccolo laboratorio di civiltà, per poter dire che il nostro paese è ancora un paese civile. Il primo paese al mondo che ha saputo varare la legge 180, la legge che ha chiuso i manicomi. Che questo paese si faccia un punto d’onore di essere ancora capace di gesti di alta civiltà.
 

Andrea Riccardi sulle carceri italiane: utilizzare le pene alternative.

Sulla situazione delle carceri italiane segnaliamo un editoriale di Andrea Riccardi  su "Famiglia Cristiana" del 23 giugno scorso, che denuncia la situazione drammatica e il rischio concreto e documentato che la permanenza in carcere costituisca un motivo di incremento dei reati.
Scrive Riccardi:

La situazione delle 206 carceri italiane è drammatica. Non da oggi. Tanti lo hanno denunciato autorevolmente. Da molti anni lo ribadisce con forza il presidente della Repubblica. Ma si è fatto poco o niente. È la realtà stupefacente di fronte a cui dobbiamo metterci.
Per affrontare questa situazione ci vogliono misure di emergenza e un investimento di più lungo periodo.
Nelle prigioni italiane ci sono circa 66 mila detenuti, in assoluta maggioranza uomini (le donne non sono più di tremila). Ma le carceri potrebbero ospitare una quantità di detenuti di poco più della metà di questa popolazione. Ci sono pure una sessantina di bambini insieme alle loro madri. Gli spazi (anche quelli di socializzazione, di istruzione o di svago) sono spesso occupati da letti a castello. Le condizioni igieniche sono generalmente precarie. Si vive 20-22 ore al giorno in locali stretti e pieni di gente.
Dal 2000 a oggi ci sono stati 776 suicidi in carcere: una cifra allarmante, rivelatrice dell`anníchilimento delle personalità in quell`ambiente.

Tra l`altro il sovraffollamento è invivibile con la stagione calda.

Continua a leggere l'articolo su www.santegidio.org

lunedì 24 giugno 2013

Il sistema carcerario, cartina al tornasole della civiltà di un paese: Mario Marazziti



Intervento di Mario Marazziti, Scelta Civica, alla Camera dei Deputati, 24 giugno 2013

Signor Presidente,
Onorevoli Colleghi!

Il testo di legge che quest’aula comincia a esaminare oggi in materia di pene detentive non carcerarie, di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili è un  primo passo per riavvicinare un  paese il cui sistema carcerario è scivolato nell’illegalità, a un paese normale e civile.
Il sistema carcerario è una cartina di tornasole del grado di civiltà di un paese, delle sue contraddizioni e difficoltà.  C’è sofferenza in molti paesi occidentali. Gli Stati uniti segnano il record di oltre due milioni di detenuti e in alcuni stati americani la spesa carceraria supera quella per il sistema scolastico. Ma l’Italia è ormai alle prese con una crisi di sistema che richiede un pensiero e un intervento radicale.

«Siamo ancora lontani dal momento in cui la nostra coscienza potrà essere certa di aver fatto tutto il possibile … per offrire a chi delinque la via di un riscatto e di un nuovo inserimento positivo nella società», segnalava con preoccupazione Giovanni Paolo II nel Messaggio per il Giubileo delle carceri nel 2000.

In tredici anni, in Italia, la situazione è peggiorata. Il sovraffollamento cronico, e ormai malato, non corrisponde alla crescita dei reati gravi, che vedono l’Italia con meno omicidi che in Gran Bretagna e Francia, tre volte meno che negli Stati Uniti. E che vede l’Italia, per crimini violenti, delinquere la metà della Francia e cinque volte meno della Svezia. Per  le rapine a mano armata e le violenze personali, l’Italia per fortuna è molto indietro a Spagna, Francia Gran Bretagna. Eurostat mostra come le rapine in appartamenti siano in Italia meno che in Francia, e la metà della Gran Bretagna. Roma e Milano tre volte meno di Londra.
Carcere e gravità dei crimini sono due curve che non si parlano. E così pure carcerazione e sicurezza non sono più fenomeni paralleli. Più carcere spesso significa meno sicurezza.
Al 31 maggio scorso i detenuti erano quasi 66mila (65.886) a fronte di una capienza di 46.945 posti e 24.342 in attesa di giudizio.
Occorre trovare qui in Parlamento il consenso largo per approvare un provvedimento di clemenza, di amnistia, che permetta, assieme a interventi organici, di cui questo è il primo, trasformare la patologia italiana in fisiologia. Non ci si può accanire con la reclusione di chi ha superato il 70mo anno d’età. La messa alla prova, l’audizione anticipata del reo da parte del giudice può riassorbire il patetico fenomeno conosciuto come “porte girevoli”, quanti trascorrono pochi giorni o ore in carcere prima di essere rimessi in libertà, con un aggravio di sistema e un costo umano tanto alto quanto non necessario. Si. Amnistia non è una “ brutta parola” o una “scorciatoia”. E’ una necessità, non come provvedimento isolato. Non solo come svuota-carceri. Ma come momento terapeutico e anche di respiro per il sistema. I dati sull’ultimo indulto, amplificati dalla stampa quando negativi, in realtà sono molto incoraggianti. Contro una recidiva del 67,68 per cento di chi sconta tutta la pena, la recidiva di chi ha goduto dell’indulto è rimasta sotto al 35 per cento, la metà, e se si guarda a chi godeva di benefici e pene alternative al momento in cui è stato raggiunto dall’indulto si scende a cifre di poco superiori al 10 per cento, con un’efficacia pari a sei volte.
Occorre mettere mano, come stiamo facendo, alla revisione di leggi come la Fini-Giovanardi e la ex-Cirielli, perché ne abbiamo visto la ricaduta negativa sull’intero sistema e da sole riempiono di un terzo di detenuti i nostri carceri sovraffollati.

Il personale carcerario, al contrario, è al di sotto degli organici previsti in misura del 15 per cento: personale previsto 41268, personale presente 35343  (al 2009).
Si intuisce come manchi personale sufficiente sia alla sorveglianza che all’accompagnamento, di certo anche all’esplicamento delle pratiche necessarie per l’attuazione di misure alternative: diventa difficile essere curati fuori dal carcere in caso di necessità, mentre è norma la mancanza di spazio vitale, l’aumento delle tensioni.

L’Italia è un  Paese leader nella lotta alla pena di morte. Ma c’è una pena capitale all’italiana, una pena non comminata, ma reale, terribile,  testimoniata dal numero terribile di suicidi in carcere: 84 accertati negli ultimi 18 mesi e molte di più le morti da carcere, per altre cause, 150 nello stesso periodo. Per ogni detenuto che si toglie la vita c’è un suicidio nel personale carcerario. Dieci atti auto lesivi sono denunciati ogni giorno, migliaia ogni anno. E aumentano le aggressioni al personale carcerario. L’Italia è malata perché ha un sistema carcerario malato.
E in carcere ci si ammala: di più. E si è curati, per forza, di meno. Metà dei carcerati è affetta da epatite, il 30% è tossicodipendente, il 10% soffre di patologie psichiche, il 5% affetto da HIV .
Permettetemi un testimonianza personale. Il giorno dopo Natale ho il privilegio di potere organizzare un  pranzo di natale nella Rotonda di Regina Coeli, qui a Roma, dove Giovanni XXIII visitò per la prima volta in epoca contemporanea i carcerati. Ascolto storie di persone che non hanno più attività ricreative perché nel III braccio le sale ricreazione hanno 12 letti l’una. E le celle da due sono tutte da tre. Persone che fanno i turni per stare in piedi e non sdraiati sul letto. L’inverno gelido in ambienti molto difficili da riscaldare. Ascolto i racconti sul vitto. Non sulla qualità, ma sulla quantità. La distribuzione a pranzo inizia da destra a sinistra e a cena da sinistra a destra, nei bracci. Così se finisce il cibo non manca due volte agli stessi nello stesso giorno.
Il risultato è disperante. Il 67-68 per cento delle persone che scontano tutta la pena è recidiva e rientra in carcere. Chi sta più in carcere teme meno il carcere o si indebolisce al punto da non sapere più evitare il carcere. Le inefficienze di sistema fanno sì che migliaia di detenuti trascorrano in carceri ormai promiscui meno di undici giorni, aumentando il sovraffollamento ed entrando in contatto con la devianza  più consolidata in una contaminazione tutt’altro che salutare, con sovraccarico di tutto il sistema. La conseguenza è l’assottigliamento progressivo delle risorse, che vede disponibili ormai meno di 4 euro al giorno per il vitto e la metà delle risorse disponibili pro-detenuto all’anno rispetto solo a un quinquennio fa. Per questo i provvedimenti che esaminiamo oggi, se hanno un limite, è di non essere stati già approvati, come un primo, minimo, necessario, passo di civiltà e buon senso.

L’Italia è in mezzo  a una grande contraddizione. Una raffinata cultura giuridica, capace di ispirare altri paesi; una legge, la 354/75, che pone con forza al centro dell’azione il recupero e il reinserimento sociale della persona deviante, secondo l’art.27 della Costituzione, e una resistenza pratica   al contrario, ad abbandonare l’idea del carcere come “ultima ratio”, per farne l’approdo di gran parte delle contraddizioni sociali del Paese.

L’articolo 27, 3° comma, della Costituzione recita che «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Già Francesco Carnelutti affermava in quei tempi che il processo penale avrebbe fallito il suo scopo se con la giusta pena non si fosse raggiunto anche l’obiettivo del riabbraccio ultimo tra la società e il reo.

E l’Italia è fuori-legge.  Già condannata dalla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo, che ha rigettato la richiesta per il riesame del ricorso Torreggiani davanti alla Grande Camera. Un anno di tempo per risolvere il problema del sovraffollamento carcerario. E 100 mila euro per danni morali a sette detenuti a Busto Arsizio e a Piacenza. Altri 500 ricorsi sono pendenti. La punta di un iceberg. La sospensione del procedimento potrebbe spingersi, forse dovrebbe spingersi in questa situazione fino a una moratoria degli ingressi in carcere, fino a un “numero chiuso”, fintanto che il carcere, come è, non risponde più al dettato costituzionale e non ha chance realistiche di procedere alla riabilitazione (solo una volta su tre, come abbiamo visto).

Non è sovversivo, ma ragionevole che lo Stato abbandoni una fallimentare politica meramente “segregativa-assistenzialistica” del detenuto, lasciando, in una piena attuazione del principio di sussidiarietà, agli enti locali e al privato-sociale il compito di un intervento più capillare e fattivo che possa investire in modo costruttivo nel rapporto con i detenuti.
E’ evidente nello scandaloso caso dei bambini da 0 a 3 anni che ancora crescono in carcere  con le loro madri nelle “sezioni-nido”. Quasi 50 bambini. Occorre rimuovere quegli ostacoli che non permettono alle donne-madri di scontare la pena con i propri figli fino al 10mo anno di età fuori dal carcere in case famiglia gestite dagli enti locali, Il carcere, in un sistema orientato al recupero e all’emenda, è solo l’“extrema ratio” dell’intervento punitivo. Cominciamo dal provvedimento di oggi, per mettere mano con urgenza all’intero sistema. E’ un’occasione storica.
   

sabato 22 giugno 2013

La storia di Paula Cooper dice che tutti possono cambiare. Radiovaticana intervista Stefania Tallei di Sant'Egidio

Paula Cooper oggi

Dopo 28 anni di carcere Paula Cooper torna in libertà. Per lei ci furono una mobilitazione mondiale e gli appelli del Beato Giovanni Paolo II. Intervista a Stefania Tallei della Comunità di Sant'Egidio




Dopo 28 anni di carcere, è tornata in libertà Paula Cooper, la più giovane condannata a morte nella storia degli Stati Uniti. Nel luglio del 1986 aveva ucciso, all'età di 15 anni, la sua insegnante di religione. La sua vicenda divenne un caso internazionale e provocò profondi interrogativi nella coscienza degli americani circa la legittimità e l’efficacia della pena capitale. Per lei si mobilitarono molte associazioni impegnate per i diritti umani. Più volte Papa Giovanni Paolo II si appellò alla giustizia americana per chiederne la grazia e fu proprio a Karol Wojtyla che la Cooper inviò una lettera chiedendo un intervento. Nel 1989, grazie alla modifica della legislazione in materia, la pena capitale venne commutata in 60 anni di ergastolo poi, per buona condotta, la riduzione della pena e qualche giorno fa l’uscita dal carcere della ragazza oggi una donna di 43 anni. Su questo caso Federica Baioni ha intervistato Stefania Tallei della Comunità di Sant’Egidio. RealAudioMP3 
 
R. - La storia di Paula mostra il riscatto di una vita, come una persona possa cambiare completamente e come per tutti ci sia una possibilità di ricominciare. Paula era così giovane - aveva 15 anni - quella ragazza sbandata non ha niente a che vedere con la donna di oggi e con la vita che può vivere da ora in poi. La sua storia  mostra che è possibile cambiare. Noi partecipammo come Comunità di Sant’Egidio, insieme a tante altre associazioni e tantissime persone, a questa campagna internazionale nella quale l’Italia ebbe una parte molto importante: si raccolsero più di un milione di firme per la sua salvezza. E’ stato l'intervento del Beato Giovanni Paolo II a salvarla, un intervento autorevole presso il governatore. Paula ha avuto una storia di perdono da parte del parente della vittima, Bill Pelke, il nipote diretto dell'anziana donna uccisa. Quindi è una storia veramente di perdono da parte di un uomo che prima era favorevole alla pena di morte, come tanti americani, e anche una storia di pietà, da parte di milioni di persone. Si può vedere come dal perdono e dalla pietà è nata una nuova vita, una nuova donna, una storia nuova, che ricomincia adesso.

D. - Per chi fa campagna contro la pena di morte, cosa vuol dire però trovare ancora nella società americana delle polemiche intorno ad un caso come questo?

R. - Io penso che ci sia molta paura, troppa, e poca fiducia negli uomini, nelle donne, nel cambiamento. Ecco credo che si debba parlare di più di come la pena di morte sia dannosa piuttosto che utile. Crea altra violenza, senza interrompere quella già grande che dilaga tra la gente e crea paura. Ma non c'è solo violenza e male.
Nella storia di molti condannati a morte ci sono amicizie nate attraverso la corrispondenza. Amicizie durature e sincere che rompono l'isolamento e creano il collegamento con il mondo di fuori. Queste amicizie sono uno spazio di affetto che aiuta persone, anche tanti giovani, che hanno visto solo violenza e male, a riacquistare la fiducia in se stessi e negli altri. Così deve essere anche per noi che siamo liberi.

Importante Convegno a Minsk su "La religione e la pena di morte nel mondo"

Il Metropolita Filaret
Il saluto del Metropolita Filaret alla tavola rotonda dal titolo "La religione e la pena di morte"

Si è aperto il 21 giugno a Minsk, presso una sala convegni della Chiesa ortodossa, una tavola rotonda dal tema “La religione e la pena di morte”, organizzata dallo Stato bielorusso e dal Consiglio d'Europa.
Pubblichiamo uno stralcio del saluto inviato dal metropolita Filaret:
«La Chiesa ortodossa bielorussa con costanza ha richiamato l'attenzione dell'opinione pubblica al problema della pena di morte già dagli anni Novanta del secolo scorso.  Nel 1996 alla vigilia di un referendum popolare, in cui tra l'altro ci si esprimeva sulla questione della pena di morte, abbiamo invitato il popolo bielorusso a rinunciare da tale misura punitiva. "Noi, cristiani, non possiamo giustificare la pena di morte, perché è un peccato di omicidio…. La vita di ogni uomo appartiene al suo Creatore, a Dio. Non siamo noi, gente peccatrice, ad avere donato la vita all'uomo, e quindi non è dato noi di privare una persona dell'esistenza. Infatti per la vita di ognuno di noi il Signore Gesù Cristo ha dato la sua vita, avendo patito sofferenze, umiliazione, scherno e la morte sulla Croce… Lo Stato, giustiziando i suoi cittadini, ogni volta di nuovo crocifigge Cristo”. Questa era la nostra posizione nell'anno del referendum. A oggi essa è rimasta immutata».


http://www.patriarchia.ru/db/text/3057847.html

 

martedì 18 giugno 2013

Paula Cooper è tornata in libertà, salvata dal perdono e dalla pietà.

Paula Cooper oggi

La Comunità di Sant’Egidio festeggia oggi la liberazione dal carcere di un’amica speciale.  La nostra amica Paula Cooper da oggi è una donna libera. 

Paula è il simbolo di una vita che ricomincia, di una vita che può cambiare, dopo molti anni di carcere.
Mostrerà al mondo che la vita è bella.

La vicenda di Paula dimostra come interessarsi dei condannati a morte, mostrare loro amicizia,  non solo non è inutile, ma può essere un mezzo efficace per parlare di pace e di riconciliazione.
L' amicizia, anche se solo attraverso le lettere, è un'arma potente, dà coraggio, aiuta a cambiare, salva la vita, fa la differenza.
 
Attraverso l’amicizia personale con Bill Pelke e da quando ha conosciuto quest’uomo eccezionale (quindi almeno dal 1998), Sant’Egidio ha atteso – assieme a lui – di vedere Paula libera, dopo aver scontato una pena molto lunga, di quasi 30 anni, nei quali è riuscita a laurearsi, ma soprattutto ha maturato una vocazione ad aiutare altri giovani, che hanno vissuto esperienze di grande violenza.
La storia di Paula è la dimostrazione di quanto la pena di morte non sia necessaria, non sia utile a sanare in alcun modo il dolore della famiglia della vittima e di quanto sia importante invece che lei sia ancora viva.
La sua vicenda venne a scuotere l’opinione pubblica in Europa, in un mondo che non era ancora globalizzato e che ancora faceva a meno di internet.
Anche in Italia i giornali si occuparono dell’assassinio di Ruth Pelke, avvenuto nel 1985 a Gary, cittadina del Nord Indiana, ai confini con l’Illinois. Tre ragazzine di colore, sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, decisero di rapinare un’anziana catechista di 78 anni (che conosceva una delle tre). Mentre una faceva da palo, le altre due rovistavano nelle cose dell’anziana, ma poi forse perché temeva di essere stata scoperta, una delle tre uccise la poveretta, senza pietà. Il frutto della rapina: pochi dollari e la vecchia auto della signora. La polizia in poche ore trovò le tre ragazzine, ma poi al processo delle tre solo Paula fu condannata a morte, mentre le altre scontarono diversi anni in carcere.
Si creò un legame stretto con l’Italia, dove ci fu un’ampia mobilitazione per salvare Paula, in gran parte grazie all’iniziativa di don Germano Greganti (fondatore di “Non uccidere”) e di P. Vito Braconi. Alla raccolta di firme parteciparono anche diverse persone della comunità di Sant’Egidio. Arrivò poi anche il decisivo intervento di Papa Giovanni Paolo II, che intercesse perché quella quindicenne non finisse sulla sedia elettrica. Alla fine, molti anni prima che la Corte Suprema degli Stati Uniti abolisse la pena capitale per i minorenni, la Corte commutò la condanna a morte in 60 anni, poi ridotti a 30 in considerazione della buona condotta.
Come dice Bill Pelke, nipote della vittima, che dopo aver perdonato Paula ha lottato strenuamente affinché le fosse salvata a vita: “E’ la realizzazione di un sogno, frutto del perdono e della riconciliazione. Quando mia nonna morì aveva in mano la Bibbia e piangeva. Sono certo che quelle lacrime erano il segno del suo perdono. Nanà (la nonna) non avrebbe mai voluto la morte di nessuno, neanche del suo assassino. Oggi – prosegue Bill - Paula non ha niente a che fare con quella ragazzina, è diversa, ha studiato, vuole aiutare i giovani in difficoltà, per dimostrare che si può davvero ricominciare. No alla pena di morte.” La VITA È BELLA.

L'associazione di familiari delle vittime Journey of hope
http://www.ilmessaggero.it/PRIMOPIANO/ESTERI/paula_cooper
http://www.ilmattino.it/primopiano/esteri/paula_cooper_sedia_elettrica/notizie/293343.shtml

 
 

lunedì 17 giugno 2013

Al congresso sulla pena di morte: le associazioni allo stand di Sant'Egidio


Mario Marazziti insieme agli attivisti
Tra amicizia e sogno si prepara la prossima giornata delle "città per la vita"!
Le Associazioni impegnate nell’abolizione della pena di morte si confrontano sui dati attuali sottolineando i passi avanti e individuando i nodi da affrontare. Occorre essere vigilanti e nulla è acquisito per sempre. Da parte dei paesi che da tempo hanno abolito viene il sostegno agli altri, questo è però un modo per vigilare sul rischio del ritorno di un pensiero favorevole alla pena di morte nei paesi storicamente abolizionisti.
Tamara Chikunova e
Andre Polida della Bielorussia

Occorre trovare soluzioni intelligenti, strategie che portino a successi. E soprattutto non dimenticare le voci di coloro che aspettano nei bracci della morte. Sono loro che ci chiedono di spenderci per questa battaglia dall'Asia, dall'Africa, dagli USA, dove in questi giorni è forte la preoccupazione per la Florida perché il Governatore ha scelto di accelerare le esecuzioni, e per l'Europa dalla Bielorussia.

Molti amici si riuniscono al desk di Sant'Egidio per decidere come sarà la prossima giornata delle "città per la vita": Spagna, Belgio, USA con Bill Pelke e Libano con  Antoinette Chahine, che ha trascorso da innocente nel braccio della morte in Libano. Si aggiungono amici dal Canada e ancora Joaquin Martinez, anche lui si è salvato dal braccio della morte in Florida dopo anni perché innocente, insieme alla moglie Jessica.
Si aggiunge Sylvie Boukari de Pontual, Presidente della FIACAT (Fédération Internationale des Chrétiens contre la torture et la peine de mort), amica di tanti anni.



 E ancora ci raggiungono gli amici della Bielorussia, di Taiwan, di Hong Kong, della Tailandia e gli amici del Congo. Insieme siamo più forti!
 

"L'Italia non farà mancare il suo impegno contro la pena di morte" Mario Giro, sottosegretario agli Esteri a Madrid

Il sottosegretario Mario Giro
La mattina del 15 giugno si è tenuta la sessione finale del Congresso di Madrid con le Associazioni che nel mondo operano per l'abolizione della pena di morte. 
Questo quinto congresso mondiale si è svolto nel Palazzo dei Congressi di Madrid, organizzato dal movimento francese ECPM insieme alla  'World Coalition Against the Death Penalty".

Robert Badinter con Mario Marazziti
Dal 2001 il congresso si riunisce, ogni tre anni,  l'edizione  del 2013 ha  visto una significativa partecipazione da parte di ministri degli Esteri europei e di tutti i continenti, tra questi  del Benin, Burkina Faso. Nella conclusione si sono susseguiti numerosi interventi tra cui Stavros Lambrinidis,
parlamentare europeo e vicepresidente della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, Federico Major, Presidente della commissione internazionale per l'abolizione della pena di morte, la Nobel per la Pace iraniana Shirin Ebadi,  Robert Badinter ex Ministro della giustizia francese che fece abolire la ghigliottina.  Per l'Italia è intervenuto il sottosegretario agli Affari Esteri Mario Giro, che ha  ricordato il ruolo speciale avuto dall'Italia nell'impegno per l'abolizione della pena capitale che è parte di una lunga storia, cominciata con l'abolizione da parte del Gran Ducato di Toscana il 30 novembre 1786 "Ne siamo fieri" ha dichiarato. Il Mondo: Pena di morte-Mario-Giro-Congresso-Madrid: battaglia di umanità 
Il sottosegretario ha anche affermato che è inutile lamentarsi se l'Europa conta poco, occorre essere più coscienti della storia e, al tempo stesso, essere attenti perché nei paesi europei può risorgere un pensiero favorevole alla pena di morte.  "Che ruolo può giocare l'Italia?" si è dunque chiesto Mario Giro: "Il Ministro Bonino ha lottato tutta la vita, anche io per la mia provenienza da Sant'Egidio, insieme possiamo lottare". Mario Giro ha aggiunto poi che l'Italia continua questa battaglia di umanità in una situazione oggi di maggiore sensibilità da parte della società civile, con il sostegno dell'Unione Europea, con iniziative come "città per la vita", con la prospettiva di una rete di parlamentari contro la pena si morte, una sinergia più forte. Ha poi concluso dicendo che la risoluzione presentata dall'on. Marazziti, e approvata all'unanimità dal Parlamento italiano lo scorso 7 giugno, riprende il grande lavoro fatto dall'Italia. Ha dunque espresso l'auspicio che la risoluzione nel 2014 possa avere un numero maggiore di adesioni.

Il congresso si è concluso con una colorata marcia a Plaza Callao. Le associazioni hanno rinnovato il loro impegno per la difesa della vita fino al raggiungimento dell'obiettivo finale, cioè quando la pena capitale sarà sconfitta in tutto il mondo. 

domenica 16 giugno 2013

Il messaggio del Segretario Generale dell'ONU Ban Ki-Moon al Congresso delle Associazioni sulla pena di morte

Il Segretario Generale dell'ONU Ban Ki-Moon
In un messaggio, il Segretario Generale dell'ONU Ban Ki-Moon ha salutato la crescente mobilitazione contro la pena di morte, egli ha osservato infatti che la completa abolizione della pena di morte trova sostegno in ogni regione e trasversalmente rispetto a sistemi giuridici, religiosi, tradizioni e costumi.  Attualmente, più di 150 Stati hanno abolito la pena di morte o non la praticano. Lo scorso anno 174 Stati membri sono stati "liberi da esecuzioni", ha detto.
"Nonostante queste tendenze positive, sono profondamente preoccupato per il piccolo numero di Stati membri che continuano a imporre la pena di morte, e per le migliaia di persone che vengono messe a morte ogni anno, spesso in violazione delle norme internazionali", ha detto il Segretario generale.
"Alcuni Paesi che da tempo osservavano una moratoria de facto hanno recentemente ripreso le esecuzioni", ha osservato. Inoltre, la pena di morte è a volte utilizzata per reati che non rientrano tra i "crimini più gravi", come reati di droga, e alcuni Stati  impongono la pena di morte contro i minorenni, in violazione del diritto internazionale sui diritti umani.
Ban Ki-moon ha anche sottolineato che le informazioni riguardanti l'applicazione della pena di morte sono spesso avvolte da segretezza, e che la mancanza di dati sul numero di esecuzioni o sul numero di persone nel braccio della morte "ostacola seriamente" qualsiasi dibattito informato a livello nazionale che possa portare all’abolizione.
"La sottrazione della vita è troppo assoluta e irreversibile perché un essere umano possa infliggerla a un altro, anche se al termine di un processo legale. "Troppo spesso, più livelli di controllo giudiziario non riescono a ribaltare ingiuste condanne a morte per anni e anche decenni", ha osservato.  "Questo problema", ha aggiunto ancora "sarà discusso da un panel delle Nazioni Unite a New York alla fine di questo mese. L'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha votato per la prima volta la moratoria nel 2007, e di nuovo nel dicembre 2012, quando ha adottato una risoluzione che chiede una limitazione progressiva del ricorso alla pena capitale e la sua eliminazione completa per criminali di età inferiore ai 18 anni e donne in gravidanza.  Sebbene non sia giuridicamente vincolante, la moratoria ONU sulle esecuzioni capitali ha un peso morale e politico. 
          

venerdì 14 giugno 2013

Le famiglie delle vittime protagoniste di una battaglia in cui vince il perdono e perde la vendetta

Journey of hope, Associazione di familiari di vittima
Questa mattina a Madrid si e' data voce ai familiari delle vittime. La loro voce rappresenta una risorsa importante  che sostiene sentimenti che possono contrastare la logica della vendetta e del rancore.
Bill  Pelke
Negli Stati Uniti da molti anni sono nate associazioni di familiari di vittima che hanno subito un grande dolore per la perdita di una persona a loro cara, per la mano violenta dell'uomo. Questi familiari, riuniti nell'associazione  Journey of hope, affermano "Non uccidete nel mio nome!". Fondatore di Journey of Hope e' Bill Pelke, lui stesso familiare di vittima. Le testimonianze di questi uomini e donne, i loro racconti in questi anni hanno toccato il cuore di migliaia di persone, che hanno compreso come il perdono, e non la vendetta, sia l'unica liberazione dalla sofferenza. Come dice sempre Bill Pelke: "La risposta e`l'amore e la compassione per tutta l'umanita´."






La pena di morte in Asia: Giappone, India, Indonesia, Singapore. Il sostegno della Comunità di Sant'Egidio alla Mongolia

Rappresentanti dell'Asia a confronto a Madrid
Avvocati, giuristi e attivisti si confrontano al Congresso di Madrid sulla difficile situazione in Giappone, in Indonesia, in India e a Singapore, su tutte l'esempio positivo della Mongolia che ha applicato la moratoria e va verso l'abolizione definitiva. Per l'Indonesia parla Otto Nur Abdullah, Presidente della Commissione Nazionale dei diritti dell'uomo, per la Mongolia Sosormaa Chuluunbaatar, Consigliere per i diritti dell'uomo presso la Presidenza della Mongolia, per il Giappone Maiko Tagusari, giurista e attivista del CPR, per l'India l'avvocato Yug Chauldrhry, per Singapore, l'avvocato Parvais Jabbar.
Interessante osservare come a partire dagli anni '90 anche in questi paesi si è venuto a creare un movimento che ha portato al cambiamento di mentalità, a partire da alcune aree e, in qualche modo, al rifiuto della pena di morte e della tortura da parte delle Corti Supreme e dei giuristi più illuminati. Dagli interventi emergono le numerose ingiuste sentenze per i casi di errori e di torture. In Giappone e in India le Corti cominciano a chiedere l'applicazione della pena capitale solo in casi rari. In Indonesia, osserva il relatore, sovente vengono condannati immigrati in assenza di un interprete che garantisca la comprensione del processo da parte dell'imputato.
Cella in Giappone
Le strategie cambiano e a Singapore sono i giovani che hanno giocato un ruolo fondamentale, con l'invio di petizioni per chiedere la clemenza e la grazia, sono campagne che umanizzano il problema, anche la Malesia, racconta l'avvocato Jabbar, è stata spinta a rivedere le proprie posizioni grazie a queste campagne di sensibilizzazione. Fondamentale il ruolo dei media, i casi trattati davanti all'attenzione del pubblico sono più seguiti e oggi sono numerosi gli avvocati che cercano di applicare i diritti dell'uomo e di rifiutare la pena capitale.
Sosormaa ringrazia Sant'Egidio,
 la bandiera di "cities for life"
Un focus sul positivo esempio della Mongolia, che ha approvato una moratoria in vista dell'abolizione definitiva. In occasione dell'anniversario della Costituzione il Presidente ha dichiarato la moratoria. "La Mongolia", dice la Consigliera Sosormaa, "doveva divenire un paese degno e la pena di morte è l'antitesi della democrazia e della civiltà. Il Presidente ha descritto le ragioni per le quali procedere all'abolizione. Il suo contributo  è stato decisivo. Molti dicevano  -non è possibile -, taluni credono al rischio di aumentare il tasso di criminalità e che la pena di morte garantisca la sicurezza, certo la pena deve essere dura, ma privare della vita non attiene alla giustizia, il diritto alla vita è fondamentale e non dipende dallo stato, per conseguenza lo stato deve rispettare e garantire il diritto alla vita. Se non lo fa crea violenza. La Mongolia si è impegnata davanti alla comunità internazionale e a prendere tutte le misure in vista della abolizione.
Ma senza il vostro sostegno, di Amnesty International, in particolare della Comunità di Sant'Egidio, questo non sarebbe stato possibile. Siete voi che ci avete incoraggiato. La Campagna Internazionale "cities for life" può sostenere gli sforzi verso l'abolizione in molti Paesi ".